I numeri del cancro in Italia
Per dare peso ed eco alla sua battaglia, da anni il parroco di Augusta compila una lista delle persone morte di tumore nel suo comune. «Ho cominciato nel febbraio del 2014: sono arrivato a contare circa un migliaio di nomi. Mi è perfino capitato che persone ammalate, prima di morire, mi abbiamo chiesto di celebrare i loro funerali». Nel quadro nazionale, l’ultima fotografia certificata dal ministero della Salute parla di oltre 3 milioni di pazienti che nel 2017 hanno avuto “una storia di cancro”. Come scrisse l’ex ministro, Beatrice Lorenzin, purtroppo “nel 2020 saranno 4 milioni e mezzo”, mentre ogni anno sono circa 180mila le persone che in Italia muoiono di tumore. Tra questi anche Lorenzo Farinelli, giovane medico di Ancona per il quale era anche partito un crowdfunding sociale che ha raccolto oltre mezzo milione di euro donato poi alla ricerca scientifica.
Ma quali sono i fattori di rischio per cui ci si ammala più frequentemente di cancro? Secondo l’Istituto Superiore di Sanità – che cita dati Usa – il fumo è responsabile del 33% delle neoplasie; cattive abitudini alimentari e scarsa attività fisica incidono per un altro 33%; l’inquinamento ambientale impatta per il 2%. Ma questo non significa che aria inquinata e terre avvelenate non aggravino la situazione in contesti già delicati come quello di Augusta.
Il gruppo Facebook “Segnala la puzza”
«Ogni 28 del mese – dice Don Prisutto – celebro una messa per ricordare le vittime di cancro della nostra terra. Pronuncio, uno dopo l’altro, tutti i nomi della mia lista». Senza gli impianti petrolchimici molti temono un futuro senza lavoro per la Sicilia. C’è chi però non si è rassegnato: oltre a organizzare manifestazioni, don Palmiro ha aperto un gruppo Facebook, chiamandolo Segnala la puzza, dove chiunque può far presente che in una determinata zona si respira un odore strano e, magari, pericoloso.
I numeri dell’Ispra dicono che nella Sicilia sud orientale l’avanzamento delle bonifiche delle tante terre avvelenate è in grave ritardo: soltanto l’8% delle zone a rischio è stato messo al sicuro da idrocarburi, metalli pesanti e diossine. Ma l’emergenza ambientale deve convivere con quella del lavoro. «Da queste parti – confida don Prisutto – molti dicono che è meglio morire di cancro che di fame». Una preferenza che nessun essere umano dovrebbe esser mai spinto a esprimere.
Terre avvelenate: la mappa nazionale
Ma i “Siti di interesse nazionale” si trovano più o meno in tutta Italia, non solo al Sud. Come nell’ex Stalingrado d’Italia: Sesto San Giovanni. Uno dei motori più potenti (e inquinanti) della ricostruzione e del boom economico italiano. A nord est di Milano, il comune ospitò alcune delle fabbriche più importanti del Paese, come le acciaierie Falck. L’area industriale occupava il 30% del territorio urbano, la stessa fetta che oggi ospita – si fa per dire – un sito su cui sono già iniziate le bonifiche.
Vista dal tombolo (la striscia di terra che porta all’Argentario) è un enorme e inquietante fabbrica diroccata. L’ex Sitoco di Orbetello, in Maremma, è uno dei Sin più importanti della Toscana. Una volta terminata la produzione di concimi chimici, parte dell’area è stata coperta con teli per impedire la dispersione delle polveri. Quel che resta è una ingombrante e spettrale costruzione ormai in completo stato di abbandono. Anche queste terre avvelenate che attendono una urgente messa in sicurezza per la sicurezza di fauna, vegetazione e persone.
Ancora più a Nord, l’area di Brescia è una delle zone nazionali più delicate. Qui, l’emergenza ambientale porta il nome (e la responsabilità) della Caffaro. Industria chimica fondata nel 1906, utilizzò composti chimici come mercurio e arsenico fino a quando il polo chiuse nel 1984. Secondo quando denuncia ARPA Lombardia, “dalle indagini ambientali avviate nel 2000 sull’area dello stabilimento Caffaro e nelle sue immediate vicinanze è emerso un inquinamento del suolo con valori fino a migliaia di volte al di sopra dei limiti di legge”.