La più importante sigla della Gdo italiana dedica un’attenzione particolare al tema dell’innovazione e da poche settimane ha lanciato, in alcuni store, insalate cresciute in una vertical farm della startup meneghina Local Green
Fino a 15-20 anni fa mangiare l’insalata significava comprare il cespo di lattuga, tagliarlo e lavarlo accuratamente prima di metterlo in tavola. Poi sono arrivate le insalate in busta della IV Gamma, che hanno rivoluzionato il settore. Oggi stiamo assistendo ad una nuova piccola rivoluzione, quella delle insalate cresciute in indoor farming.
Vegetali cioè coltivati in luoghi confinati, in cui tutti gli input produttivi, come luce e nutrienti, sono forniti dall’uomo e calibrati secondo le necessità delle piante. Esistono impianti idroponici, aeroponici ed acquaponici che promettono di produrre vegetali a ridotto impatto ambientale, senza l’uso di agrofarmaci e potenzialmente a KmZero.
Ad abbracciare questa rivoluzione è stata qualche sigla della Grande distribuzione organizzata italiana, tra cui Coop, il più importante player nostrano, che dal mese di giugno in alcuni store dell’area di Milano vende le insalate in busta di Local Green, una startup giovanissima, fondata da Lorenzo Beccari (26 anni) e Paolo Forattini (24 anni), che ha un piccolo impianto produttivo proprio a due passi dal capoluogo lombardo.
“Le nostre insalate sono prodotte con un innovativo sistema aeroponico su parete verticale”, spiega a StartupItalia Paolo, che si è appassionato al tema dell’indoor farming durante un Erasmus mentre studiava Economia e Gestione delle Imprese. “Dopo un periodo di ricerche abbiamo disegnato un nostro modello produttivo brevettato e completamente automatizzato dove produciamo varietà quali mizuna, pak choi viola, kale rosso e acetosella”.
La startup, fondata nel 2019, è stata prima accelerata da Impact Hub Milano e poi da NeoruraleHub. “Il primo ci è servito per entrare nell’ecosistema FoodTech e in una mentalità imprenditoriale. Nei sei mesi abbiamo affinato la nostra idea di business e grazie ad uno dei nostri mentor siamo entrati in contatto con Coop. NeoruraleHub invece è stata fondamentale perché ci ha fornito strumenti e risorse finanziarie per testare la tecnologia e mettere a punto il nostro sistema produttivo”.
Per Paolo lavorare con un gigante come Coop non è stato difficoltoso. “Abbiamo scelto Local Green tra le tante startup del settore che si sono rivolte a noi perché sono un team giovane, con una idea imprenditoriale davvero innovativa e che ha investito risorse proprie per sviluppare il progetto”, racconta a StartupItalia Claudio Mazzini, responsabile Freschissimi di Coop Italia.
L’indoor farming arriva al consumatore
In alcuni store meneghini di Coop è possibile acquistare le vaschette di insalata, che per ricordare il legame con il territorio hanno il nome di località urbane come Brera, Sarpi e Moscova. Per ora si parla di poche decine di confezioni vendute al giorno, ma l’esperimento sembra avere avuto successo.
“Il consumatore è attratto dall’idea di un prodotto nichel free, che è cresciuto in un ambiente controllato, che non ha subito alcun trattamento fitosanitario e che può essere consumato tal quale, non essendo stato toccato da nessuno”, racconta Mazzini. “Il possibile ostacolo per ora è il prezzo, più alto per il consumatore normale, meno attento ed informato. Quando il delta tra una busta d’insalata cresciuta in serra e quella in indoor farming sarà di un 10-20% allora il mercato crescerà. Per ora il nostro è stato un esperimento visto che come Coop siamo da sempre attenti all’innovazione e alla sostenibilità”.
Già, la sostenibilità. Per i fautori dell’indoor farming il futuro passerà da produzioni fuori suolo in ambienti chiusi, considerate più sostenibili in quanto fanno un uso ridotto (-95%) di acqua, non usano agrofarmaci e sono potenzialmente a KmZero. Per i detrattori invece le coltivazioni al chiuso sono l’antitesi dell’agricoltura, visto che le fonti nutritive naturali sono rimpiazzate da surrogati artificiali e i consumi energetici (per illuminazione, riscaldamento, areazione) sono molto elevati.
“Gli impianti di oggi non sono competitivi sul mercato e non sono neppure sostenibili se paragonati ad una serra, ma è solo una questione di tempo. Giorno dopo giorno questi sitemi si fanno più efficienti e nel giro di pochi anni i costi di produzione tra serra e indoor saranno paragonabili”, sottolinea Mazzini. “Come Coop guardiamo con interesse all’innovazione e ci piace sperimentare e sostenere il cambiamento. L’indoor farming non credo sia una moda ma un nuovo modello produttivo che tra qualche anno si andrà ad affiancare a produzioni tradizionali in piano campo e in serra, anche fuori suolo”.
Intanto Local Green ha in progetto di realizzare un nuovo impianto produttivo (da 1,8 milioni di euro) capace di produrre 20mila vaschette a settimana e che richiederà l’assunzione di sette persone. “Vogliamo creare un impatto positivo sul territorio, anche a livello di riqualificazione di edifici abbandonati che possono tornare ad essere produttivi attraverso i nostri impianti”, spiega Paolo.
Mazzini invece non crede nel format sposato da alcune insegne estere che prevede piccoli siti produttivi all’interno dei supermercati. “Mi sembrano più delle esibizioni, delle curiosità per attrarre i consumatori, piuttosto che dei veri sistemi produttivi. Se l’indoor farming vuole guadagnarsi una fetta di mercato lo deve fare con impianti produttivi efficienti, in grado di giocare su economie di scala”.
La Gdo deve guardare avanti, con lungimiranza, per intercettare oggi trend che si affermeranno tra anni. E tuttavia non tutto quello che è innovativo è per forza buono. Sul tema della cultured meat (la cosiddetta carne sintetica) Mazzini è scettico. “Sono interessanti suggestioni, ma credo che dovremmo impegnarci a produrre carne e latte in maniera sostenibile e prestando attenzione al benessere animale, senza dover ricorrere a questi prodotti. Sicuramente avranno un mercato, ma credo che sia davvero una nicchia”.
Uno dei temi centrali in fondo è quello della sostenibilità: chi promuove il latte e la carne sintetici sostiene che siano più sostenibili dal punto di vista ambientale. “Ma la sostenibilità è un valore complesso, fatto da tanti elementi. Paradossalmente alimentasi con cibo in pillole è il massimo della sostenibilità ambientale, ma non lo è per il consumatore. Occorre trovare il giusto equilibrio”.