È sempre più diffusa tra i consumatori, sia per ragioni etiche sia per una maggiore attenzione all’ambiente, la tendenza a sostuituire le proteine di origine animale con quelle di origine vegetale. Una grande opportunità per ripensare in chiave più sostenibile la catena produttiva agricola.
Pubblichiamo il guest post di Sharon Cittone, fondatrice e Ceo di Edible Planet Ventures
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La rivoluzione potrebbe non essere trasmessa in televisione, ma verrà fotografata, postata, condivisa e ricondivisa. È con tastiere e schermi touch che oggi si crea il cosiddetto “snowball effect”, l’effetto valanga che ci proietterà nel futuro del cibo. L’ossessione dei Millennial per il cibo ha segnato l’ingresso in una nuova era di maggiore consapevolezza nel rapporto con l’alimentazione e del nostro potere come consumatori.
Ormai è sulla bocca di tutti: la nostra salute e quella del pianeta sono profondamente interconnesse. È un’equazione semplice che nasconde però parecchie insidie. Per risolverla e onorare questa consapevolezza, è necessario predisporsi a un cambiamento strutturale e radicale del sistema agroalimentare. Riprogettare come coltiviamo, produciamo, vendiamo e consumiamo il cibo, a partire dalla diversificazione delle produzioni.
Per la verità questa trasformazione, seppur in scala ridotta, è già in atto. L’esempio più rappresentativo è quello delle proteine alternative. Vuoi per ragioni etiche, vuoi per questioni di sostenibilità ambientale, nuove generazioni di consumatori si stanno allontanando dalle proteine animali, rinunciando a carne, pesce, latticini e alle uova provenienti da allevamenti per affidarsi a fonti vegetali quali soia, piselli e micoproteine. Le rivoluzioni però, si sa, vanno studiate bene, per evitare di cadere in certe trappole che dal male minore portano a quello “maggiore”, tale perché non conosciuto, o peggio trascurato. Così finora ci siamo lasciati trasportare dalla gola e, a suon di investimenti, abbiamo puntato solo un solo fattore, il prodotto, trascurando altre importanti ramificazioni e conseguenze di questa nostra mobilitazione.
D’altronde, nel bene e nel male, è il nostro stomaco a dettar legge. Come diceva Oscar Wilde, “quando sono nei guai, mangiare è l’unica cosa che mi consola“, e i guai recentemente non ci sono mancati. Oggi invece è giunto il momento di riflettere sulle nuances di questo fenomeno esplosivo, e di instaurare un dibattito serio, in assenza del quale non raggiungeremo mai gli obiettivi prefissati di sostenibilità e resilienza.
Perciò, mentre il trend delle proteine alternative raggiunge vette vertiginose, attirando investimenti multimilionari ($3.1 miliardi nel solo 2020, tre volte tanto rispetto a quanto realizzato in tutti i singoli anni precedenti), cautela vorrebbe che si ragionasse su aspetti critici che vanno al di là del gusto, della texture o della forma. Primi tra tutti quelli legati alla supply chain e alle materie prime, ma non solo.
L’importanza della materia prima
Tradizionalmente, nell’ambito delle grandi aziende alimentari, la valutazione sulla sostenibilità giungeva in un momento successivo a quello della creazione del prodotto. Così tanti prodotti, da lungo tempo presenti sugli scaffali, venivano sottoposti a un “makeover” postumo e riqualificati come “sostenibili”.
Lentamente ma inesorabilmente nuovi e vecchi attori stanno invertendo questo paradigma. Laddove in precedenza ci si focalizzava esclusivamente su qualche componente e, per così dire, in seconda battuta, ora si comincia a pensare più in grande. Non solo il singolo ingrediente, ma il prodotto nel suo complesso viene progettato a monte in funzione della sostenibilità e della circolarità. Questa è la sfida entusiasmante con cui si stanno confrontando aziende, piattaforme tecnologiche, startup e organizzazioni del settore. In palio non solo la salute del pianeta ma anche ingenti profitti.
Quale che si sia l’approccio adottato, una cosa è certa. Non ha senso parlare di sostenibilità dei prodotti se non si guarda in primis all’agricoltura sostenibile: quest’ultima rappresenta le fondamenta di tutto il sistema agroalimentare e la base di qualsivoglia valutazione. Purtroppo, ancora oggi, le aziende grandi e piccole non le dedicano la dovuta attenzione, omettendo di investire tempo e risorse per assicurarsi, prima di sviluppare i prodotti, che vi sia un’infrastruttura agricola capace di reggerne il peso.
Il fatto che vi sia una generalizzata mancanza di consapevolezza però non significa che non vi siano esempi virtuosi da cui prendere ispirazione. Per esempio, la startup olandese Willicroft, che si cimenta nella creazione di alternative vegetali al formaggio, da qualche tempo aiuta gli allevatori/casari di aziende agricole a convertirsi a pratiche di agricoltura rigenerativa tramite l’offerta di finanziamenti e percorsi educativi. Sulla stessa lunghezza d’onda l’americana Simple Mills, che attraverso la selezione di ingredienti con alti benefici nutrizionali ed ecologici, studia modi per incoraggiare gli agricoltori ad utilizzare pratiche di rigenerazione agricola. Per ora questi esempi rappresentano un’eccezione, ma non è detto che non possano diventare un regola.
L’agricoltore al centro
Parlare di proteine alternative (e anche di agricoltura rigenerativa) spaventa molte associazioni di categoria, produttori e agricoltori. La paura è quella di trovarsi tagliati fuori, o di assecondare quella che a detta di alcuni sarebbe solo una moda passeggera. In pochi si rendono conto dell’opportunità che abbiamo davanti.
È risaputo che il consumatore sia sempre di più alla ricerca di prodotti salubri e sostenibili. Sviluppare sinergie tra pubblico e privato per aiutare i produttori locali a diversificare le culture e convertirsi all’agricoltura rigenerativa, significherebbe fare un primo grande passo per rendersi competitivi in un mercato in enorme espansione.
Ma c’è di più. Con l’avanzare del tempo la produzione di cibo dovrà fare i conti col cambiamento climatico e l’assottigliamento delle risorse. L’Italia non ne è immune, come testimoniano le recenti ondate anomale di siccità. È risaputo che l’utilizzo di pratiche orientate alla conservazione del suolo fa la differenza quando si tratta di ottimizzare i consumi idrici. E questo è solo un esempio dei benefici che questi metodi possono apportare.
Dal punto di vista economico, gli ingredienti delle proteine alternative (per il mercato plant-based o per quello della fermentazione), potrebbero costituire una fonte di guadagno extra per gli agricoltori. L’onere di adoperarsi per passare a pratiche agricole sostenibili però non può ricadere solo su questi ultimi, già scarsamente remunerati e spesso in difficoltà. Servirebbe invece il supporto di enti e governi nella forma di investimenti e percorsi educativi dedicati.
L’importanza della supply chain integrata
Le ultime proiezioni dimostrano che la capacità produttiva odierna non sarà in grado di soddisfare una domanda sempre maggiore di ingredienti per prodotti sostitutivi di carne, uova e latticini. Attualmente l’infrastruttura produttiva è lenta a reagire alla nascita di nuovi trend, e la disconnessione tra le preferenze mutevoli dei consumatori e le scelte degli agricoltori che, per ragioni economiche, optano per colture ad alto rendimento e ad alto impatto ecologico, si fa sempre più marcata. Esempio principe è quello della soia, da sempre ingrediente privilegiato dalle case produttrici di alternative plant-based, la quale però sta perdendo gradualmente quote di mercato a causa delle crescenti preoccupazioni circa l’impatto ambientale delle sue coltivazioni.
La scelta delle colture dunque è importantissima, per molte ragioni. Contare su poche colture senza diversificare significa perdere una grandissima opportunità non solo di preservare il suolo e la biodiversità, ma anche di assicurarsi contro le fluttuazioni dell’offerta di materia prima.
C’è di più. Come hanno dimostrato prima l’avvento della pandemia di Covid-19 e ora la guerra in Ucraina, le filiere globalizzate, a prescindere dalla loro sostenibilità, sono estremamente fragili. Shutdown e strozzature delle catene di approvvigionamento globali possono avere effetti devastanti sui processi produttivi delle aziende, oltre che, naturalmente, sui consumatori. Per chi si affacci alla sfida delle proteine alternative il consiglio rimane dunque quello di costruire una supply chain solida ed affidabile, in assenza della quale le probabilità di successo saranno sensibilmente minori rispetto a quelle di player, per così dire, lungimiranti.
Altro aspetto importante è quello che concerne la trasformazione dei materiali. Oggi i produttori di proteine alternative si trovano ad affrontare parecchie sfide: dalla necessità di “fabbricare” proteine complete, contenenti quindi tutti gli amminoacidi essenziali, a quella di assicurarne la biodisponibilità, dalla necessità di selezionare tecnologie affidabili a quella di ottimizzare la struttura dei costi (per esempio attrezzature e materiali), che deve essere tale da garantire un prezzo finale accessibile. Ogni categoria di alternative, dal plant-based agli insetti passando per le proteine da fermentazione, presenta sfide diverse, a partire dalle regolamentazioni. Per navigare queste acque agitate, è necessario fare affidamento sull’esperienza di enabler specializzati che sappiano porre le giuste domande e orientare l’azienda verso strategie efficaci.
Nutrizione e salute
Quello della qualità e della salubrità degli alimenti alternativi è un altro aspetto fondamentale. Come accennato in precedenza, il passaggio dalle proteine animali ad altre fonti proteiche comporta la necessità di formulare prodotti che abbiano un profilo nutrizionale completo, o che per lo meno ci sia una comunicazione chiara e trasparente rispetto a quest’ultimo, affinchè il consumatore sia ben informato rispetto ai limiti e benefici dei prodotti scelti.
Inoltre, perchè si possa costruire una rapporto di fiducia col consumatore, è importante che questo possa contare su prodotti di per così dire “genuini”. Il termine clean label, ossia “etichetta pulita” fa riferimento proprio a questo aspetto. Si tratta di alimenti che hanno il minor numero possibile di ingredienti, privi di ingredienti “indesiderabili”, come ingredienti artificiali e additivi aggiuntivi e formulati con materie prime di livello. Spesso e volentieri negli anni passati, al fine di accaparrarsi quote sempre maggiori di mercato, i player del settore hanno investito su prodotti eccellenti dal punto di vista del gusto ma scarsi dal punto di vista della salubrità perchè estremamente raffinati o ricchi di ingredienti considerati dannosi per la salute. Se veramente si vuole parlare di innovazione, occorrerebbe finalmente mettere il benessere dei consumatori al centro e non più considerare questo un dippiù.
Per concludere. Il mercato delle proteine alternative è vasto, ma le opportunità non mancano per chi voglia fornire prodotti sostenibili e di qualità. Per cominciare, è bene ragionare su tutte le possibili criticità e sfumature ricollegabili alla scelta di competere in questo mercato. Per trasformare il sistema agroalimentare l’educazione del consumatore è imprescindibile, ma lo è anche quella di agricoltori, produttori e aziende che con le loro azioni possono accelerare considerevolmente la transizione e aiutarci a costruire un futuro alimentare migliore per tutti. L’importante, come in tutte le cose, è non farsi prendere dalla fretta e ragionare bene sulle nostre strategie.