Il boom dei “preset” di Lightroom sul social network, nuovo canale di monetizzazione per gli utenti più popolari. Che così cedono ai follower, dietro pagamento, la loro estetica personale
Prima o poi ci si sarebbe arrivati. Gli influencer, cioè utenti dei social network che abbiano maturato nel tempo una certa credibilità – fondata o meno, è tutto da verificare – in un certo ambito, dalla cosmesi allo sport fino alla tecnologia, vendono in qualche modo se stessi. O meglio, il loro stile, il loro approccio, la loro estetica. L’immaginario, la possibilità di “essere come loro”, almeno su Instagram. In che modo? Cedendo ai follower i preset di Adobe Lightroom, programma di fotoritocco col quale, nei mesi e negli anni precedenti, hanno attentamente e quasi patologicamente costruito la propria immagine digitale.
Il fenomeno
La storia è lunga e interessante. Le dedica un approfondimento The Atlantic che ha deciso di accendere una luce su questo nuovo canale di monetizzazione dei personaggi più seguiti (ma non solo, non occorre infatti un milione di follower per essere influencer in un certo ambito, ne basta qualche migliaia, specialmente se molto attivi e coinvolti). Il nuovo scenario parte dal presupposto che gli influencer non guadagnano solo promuovendo prodotti o servizi dei brand che scelgono di rivolgersi loro (dimenticando ancora troppo spesso gli hashtag #ad o #adv) o i propri prodotti, magari veicolando il traffico sui propri siti e dunque incassando anche la pubblicità. Oggi vendono se stessi. O meglio, la loro apparenza.
Come funzionano i “preset”
Come si fa a vendere se stessi? Semplice. Tramite i cosiddetti “preset” di Adobe Lightroom. Anzitutto occorre capire di cosa si tratti. Sono delle correzioni predefinite di luminosità, colore e contrasto disponibili sul software del colosso statunitense da applicare a uno scatto durante la post-produzione, prima di pubblicarlo sui social. Sono meccanismi che – di base, ma non esclusivamente – usa ovviamente chi cura in modo spasmodico la propria presenza sulle piattaforme, in particolare su Instagram. Ma che, come racconta la storia dell’Atlantic, può convincere molti follower ad accodarsi allo stile del proprio o dei propri influencer preferiti e trattare le foto con quello stesso, specifico mix di parametri. Dall’impronta inequivocabile. Che, di fatto, si trasformano in filtri Instagram “proprietari”, nel senso che non sono rintracciabili fra quelli preimpostati nell’applicazione. Ma vanno appunto acquistati dagli utenti più popolari.
Lo snodo centrale è ovviamente la propria “Instagram brand identity”, cioè la riconoscibilità e la coerenza a primo impatto (per i follower) del proprio stile. Una strategia che, nel tempo, conduce a disporre di un feed coerente e appunto univoco che affascina molti – sebbene gran parte delle volte tutto sembri un po’ uguale, sul social controllato da Facebook. In cui, cioè, ogni scatto racchiude il senso della propria presenza grazie proprio a questi editing definiti che cristallizzano bilanciamenti, tavolozza dei colori preponderanti e luminosità. Lightroom non è il solo modo ma, come testimoniano alcuni casi, è quello più semplicemente monetizzabile.
In vendita l’estetica personale
Gli influencer coltivano dunque nel tempo quello stile. Un’estetica specifica che nel tempo assume un valore di mercato. Specialmente da quando, lo scorso giugno, Adobe ha introdotto la possibilità di creare e condividere preset via mobile. Da quel momento, oltre alla classica pubblicità e al traffico veicolato sui propri siti, è nata una nuova bolla: quella appunto dei preset.
Molte sono le influencer che vendono i propri filtri personali. Maddy Corbin di Indianapolis, che ha 30mila follower confessa di aver trascorso mesi su Light room “a giocare con le impostazioni, immaginando che tipo di estetica avessi e quali colori rappresentassero al meglio il mio brand”. I follower hanno acquistato quei preset, per esempio su marketplace come FilterGrade (piattaforma che trattiene il 30% della transazione ma semplifica il passaggio di vendita), e postano foto con l’hashtag #MaddyCorbinpresets. I pacchetti vanno da 25 a 200 dollari e una volta che un preset è caricato e messo in vendita non ha praticamente più bisogno di nulla. Marcia da solo, producendo ricavi.
Quando comprano un preset gli utenti ricevono un link per scaricare e aprire un file, copiarlo in Lightroom e applicare questa sorta di macro. In un attimo dispongono dello stesso filtro personale della celebrità digitale che seguono ogni giorno o almeno di una sua creazione. L’operazione, che sembra complessa, sfoggia in realtà un suo diabolico fascino commerciale.
I casi
“I preset sono un eccellente modo di collegarsi personalmente con le persone su Instagram, specialmente le ragazze più giovani interessate a questo mondo” spiega non a caso Corbin. E con gli hashtag collegati si fa una specie di controllo qualità prima dell’acquisto, per capire se e come quel filtro potrà funzionare nei propri scatti.
Rachelle Swannie, 80mila follower, vende una coppia di preset a 25 dollari. Victoria Yore, influencer di viaggi con 67mila follower, lavora col partner che è anche un fotografo professionista. Ciascuno sceglie che genere di preset lanciarto. Alina Dinah, influencer di lifestyle, ne ha per esempio diffuso uno che non tocca i colori originali della foto, magari quando si tratta di prodotti da promuovere. Come in tutti gli ambiti e le “nicchie”, se di nicchia si può parlare, c’è perfino chi è diventato più famoso per i suoi preset che per l’attività di influencer in senso stretto: è il caso di Jessica Turnquist che ne ha fatto un lavoro partorendo 18 diversi preset. Uno per l’estate, uno per il Thanksgiving, uno per il Natale e così via. Basta farsi un giro su FilterGrade per trovare preset legati a centinaia di utenti, occasioni e ambientazioni.