Abbiamo incontrato Jacopo Secco, ingegnere biomedico che assieme al collega Marco Farina, e ad un team multidisciplinare, ha sviluppato il progetto
Cosa c’entrano le ulcere cutanee con l’intelligenza artificiale? Fino a qualche tempo fa praticamente nulla, ma in un prossimo futuro potrebbe essere proprio una startup, attualmente accelerata da BioUpper, a risolvere un problema che colpisce il 2% della popolazione mondiale. Si chiama Wound Viewer ed è il primo sistema 3D per il monitoraggio e la valutazione automatica delle ulcere cutanee: un algoritmo di intelligenza artificiale elabora autonomamente i dati provenienti dal dispositivo e ne restituisce i parametri oggettivi necessari a supportare lo specialista nella scelta terapeutica appropriata. L’utilizzo di Wound Viewer riduce sensibilmente i tempi di guarigione e i costi di ospedalizzazione. Abbiamo incontrato Jacopo Secco, ingegnere biomedico che assieme al collega Marco Farina, e al team altamente profilato e multidisciplinare, ha ideato Wound Viewer.
Partiamo dalle origini: ulcere cutanee, un problema persino drammatico. Come nasce l’idea di affiancare gli specialisti con il supporto dell’intelligenza artificiale?
«L’idea è nata due anni fa quando un medico che si occupava di ulcere ha raccontato a Marco ed a me il suo grande problema, non riuscire a gestire in maniera ottimale i pazienti affetti da ulcere cutanee a causa della loro continua necessità di essere visitati e osservati. Questo problema, si riflette direttamente sulle condizioni dei pazienti che non sono in grado di guarire dalla lesione in tempi accettabili aumentando il rischio di amputazione dell’arto o addirittura di decesso. Abbiamo studiato il problema a fondo progettando il sistema Wound Viewer».
Cos’è Wound Viewer? Che vantaggi raggiunge?
«Il sistema si basa sia su un dispositivo in grado di raccogliere le informazioni dall’ulcera in maniera non invasiva ed assolutamente non pericolosa per il paziente. Queste informazioni vengono processate da un algoritmo intelligente in grado non solo di individuare automaticamente l’ulcera, ma anche di misurarla in autonomia. Grazie all’apporto di tutti membri del nostro team siamo riusciti a sviscerare il problema non solo da un punto di vista clinico e tecnico, ma anche da un punto di vista di business e legale. I dispositivi medici, soprattutto quelli che raccolgono i dati del paziente, necessitano di un grosso lavoro a livello di protezione dati e di privacy. Inoltre abbiamo subito deciso di lavorare con i vulnologi, (i medici ed infermieri specializzati nel trattamento di ulcere cutanee). Una volta che abbiamo avuto un’idea della tecnologia, abbiamo depositato i brevetti necessari per proteggerla ed abbiamo richiesto dei fondi per il suo sviluppo e per svolgere i primi test che hanno avuto un esito molto positivo. Abbiamo partecipato a diverse manifestazioni e congressi come la European Innovation Accademy lo scorso luglio, finché abbiamo partecipato a BioUpper ed eccoci qui».
Disponete di un team interdisciplinare e con una forte vocazione accademica. Da chi è composto?
«Credo che sia questa la nostra grande forza. Il progetto é nato originariamente da Marco Farina ed il sottoscritto, entrambi ingegneri biomedici del Politecnico di Torino. Abbiamo svolto un periodo di ricerca presso il Methodist Hospital research Institute di Houston. Successivamente è arrivato per entrambi il dottorato di ricerca in ingegneria elettronica, sempre presso il Politecnico di Torino. Io attualmente sono in fase di conseguimento di un MBA presso la Scuola di Alta Formazione Manageriale (SAFM). Con noi hanno subito preso parte all’iniziativa Alberto Uberti e Piergiorgio Perotto: il primo é un ingegnere gestionale di grandissimo talento, scelto dal Politecnico, nella figura del Vice Rettore al trasferimento Tecnologico Emilio Palucci, per aiutare il vice Rettore a creare ed organizzare il laboratorio TT. Qui ha conseguito un MBA presso SAFM. Piergiorgio Perotto é un avvocato civilista, esperto di contratti, proprietà intellettuale e diritto informatico. Nel corso del tempo si sono uniti alla famiglia Wound Viewer Salwa Alsayegh, avvocato specializzato in diritto sanitario internazionale ed Isidora Perez, designer. Paride Letizia e Vito Musci, un ingegnere informatico ed un aerospaziale che hanno entrambi conseguito un MBA sempre presso SAFM».
Per chi proviene e lavora nel mondo universitario come voi, cosa comporta definirsi una startup?
«Proporsi come una startup con fini tecnologici implica un costante processo di aggiornamento e di esplorazione delle opportunità che offrono vari enti, tra cui il Politecnico di Milano ed il PoliHub. Inoltre ci teniamo costantemente aggiornati sulle startup più in vista del momento, soprattutto in campo biomedicale».
Università, biotech, BioUpper: quel è stato il collegamento?
«Proprio attraverso il processo di scansione continuo delle opportunità al quale accennavo, siamo venuti a conoscenza di BioUpper. Tuttavia non vi é stato un lavoro di preparazione rivolto esclusivamente a questo concorso. Siamo molto contenti che il team di BioUpper ci abbia considerato meritevoli di procedere nel concorso viste anche le startup vincitrici e partecipanti sia dell’anno scorso che di quest’anno. Sappiamo di essere a confronto con i migliori e questo ci da la carica per fare ancora meglio. Crediamo che la nostra idea sia il frutto di un lavoro assiduo e continuo svolto a stretto contatto con chi saranno i nostri end users. Ci piace pensare che il nostro sistema sia stato progettato dai medici per i medici con la sola finalità di migliorare la qualità della vita dei pazienti. Siamo consapevoli che il nostro, come tutti i prodotti derivanti dalle startup, siano in divenire, e che debbano essere perfezionati continuamente fino a raggiungere l’ottimo. Per noi é facile in quanto ci consideriamo dei perfezionisti. Sappiamo, grazie alla stretta collaborazione che abbiamo con la più grande società di vulnologia in Italia, che il Wound Viewer ha tutte le caratteristiche tecniche per interfacciarsi con il mercato».
Dove vi posizionate attualmente?
«Stiamo procedendo per validare il dispositivo ed il sistema con delle prove cliniche certificate dal Ministero della Sanità e con il Comitato Etico competente. Inoltre stiamo procedendo nella formulazione di partnership strategiche con altre aziende che ci permetteranno di avere l’efficacia sperata una volta entrati sul mercato. Le scelte che stiamo facendo al momento sono il frutto di un attento processo di pianificazione, ovvero il nostro “go to market plan”. Questo stesso piano é stato possibile realizzarlo e validarlo grazie alla collaborazione dei nostri mentors a BioUpper».
Una volta entrati nel programma di accelerazione, che valutazioni avete fatto? Quando siete distanti dalla piena maturazione del vostro progetto?
«Ci siamo resi conto di essere ancora ad uno stadio qualitativo per quanto riguardava il go to market plan. Nei mesi precedenti a BioUpper abbiamo concentrato la stragrande maggioranza delle nostre forze a rendere il prodotto e l’azienda solidi, cercando di dare il più possibile valore al prodotto comprovando la necessità della nostra soluzione nel mercato che vogliamo aggredire. Prendendo come esempio il classico business model canvas, ci siamo concentrati a metterne a punto la “parte destra”. La “parte sinistra” era ad un buon stadio ma certe assumptions dovevano ancora essere validate. A livello di partnership eravamo ad uno stadio avanzato per quanto riguardava la produzione e la prototipazione. Abbiamo sempre avuto le idee chiare sul come raggiungere i nostri early evangelists, ma mancavamo ancora di un piano consolidato per il frangente di tempo successivo e sulla fase di scale up. Grazie ai nostri mentors siamo riusciti a mettere a punto questo piano entrando in contatto con le realtà che si sono rivelate fondamentali per le fasi successive. Grazie a BioUpper ci sentiamo pronti alla sfida, e pronti a lanciare la nostra soluzione sul mercato».
Che aspettative avete maturato ora?
«Le aspettative sono sicuramente molto alte. Comunque vada la competizione, ci siamo resi conto di essere competitivi ad un livello molto alto. BioUpper é un’esperienza fantastica in quanto ti costringe ad alzare sempre il livello dell’asticella. Ci siamo confrontati con persone molto in gamba ed abbiamo messo sul tavolo la nostra idea con le migliori presenti nel nostro settore. Concretamente ci aspettiamo di uscire da BioUpper ancora piú solidi di prima con la validazione del nostro piano di business. Ci aspettiamo di uscire con un network ancora piú ampio che ci permetta di aprirci opportunità ed occasioni nuove. Grazie alla grande visione che una competizione come BioUpper da alle startup come la nostra, siamo sicuri che riusciremo ad ampliare il numero di persone che si interfacciano al problema e che comprendano che soluzioni come la nostra possono concretamente migliorare le condizioni dei pazienti, consentendo alla pratica clinica di realizzare un ulteriore salto in avanti».
Biotech, lifescience, ambiti di fondamentale importanza. Eppure in Italia è molto difficile trovare finanziamenti per startup d questo tipo. Che idea vi siete fatti in proposito?
«Questo é uno dei grandi problemi dell’innovazione in Italia. D’altro canto progetto Wound Viewer ha avuto la grande fortuna di poter contare sul Politecnico di Torino che non ha mai fatto mancare il suo appoggio nella costruzione della nostra startup. Questo devo ammettere che ci ha molto aiutato ad espandere il nostro network e a renderci consapevoli delle nostre potenzialità ed opportunità. Inoltre il Governo Italiano negli ultimi anni ha promosso moltissime iniziative per facilitare la nascita di nuove aziende in tutti i campi e questo ha aiutato ad incentivare molte iniziative private rivolte all’innovazione ed all’imprenditoria. Siamo fiduciosi nel nostro paese e sappiamo che i tempi cambieranno in meglio. Questo sará possibile anche grazie alle iniziative rivolte alle startup come BiUpper ed a noi startuppers che abbiamo l’obbligo di far capire le grandi opportunità che creiamo tutti i giorni. É chiaro che la situazione attuale non é ancora ottimale e questo può portare a momenti bui per noi giovani imprenditori. Peró siamo consci del fatto che lamentarsi non porta da nessuna parte. L’unica soluzione é continuare a lavorare restando aggrappati ai propri sogni anche se questo porta a grandi sacrifici ed a correre rischi».
La prima cosa che farete se vincerete?
«Il lavoro, come gli esami, non finisce mai. Pensare di vincere BioUpper e pensare di essere arrivati é un’illusione. La più grande vittoria sta nel comprendere che non é mai abbastanza quando si tratta di salute e migliorare la vita delle persone. Questo é il nostro credo piú profondo. Grazie al montepremi riusciremo a coprire le spese rimanenti delle prove cliniche e della certificazione, migliorare il dispositivo rispetto alla user experience progettando un prototipo industriale, e riusciremo a portare la nostra soluzione concretamente sul mercato. Chiaramente per arrivare al livello che abbiamo in mente non é ancora abbastanza, ma sicuramente é un buon passo in avanti. Fingers crossed».