Sono tutte imprese sostenibili (e replicabili anche in Italia): dalle consegne a domicilio di cibo vegano alle box freegan, ecco i progetti presentati all’OFM Awards e il vincitore
L’Observer Food Monthly ha eletto i suoi chef, personalità eminenti nel mondo del food, gli eroi locali del cibo. Tra i premi assegnati c’è quello per il migliore progetto food etico del Regno Unito. Il vincitore dell’OFM Awards 2018 è Ryan Riley con Life Kitchen, ma le idee di business legate al cibo e alla sostenibilità, presentate per la competizione, sono state numerose e molto interessanti. Ecco alcune idee che potrebbero attecchire anche in Italia.
1. Life Kitchen
Tutto è iniziato quando Ryan ha visto sua madre perdere l’appetito dopo l’inizio della chemioterapia. Da lì è nata l’idea di permettere a chi deve convivere con il cancro di ritrovare il piacere nel cibo. Life Kitchen è un progetto di beneficenza che fornisce corsi di cucina gratuiti e focalizzati sulle persone che devono combattere contro la nausea e senso del gusto alterato.
I corsi hanno luogo in location esclusive, dove si beve Taittinger (“i nostri ospiti lo adorano e li fa sentire speciali”, ha raccontato Ryan). Ma non ci sono solo i corsi. Presto Life Kitchen includerà un ricettario e una vera e propria scuola di cucina che avrà la sua sede in un edificio vittoriano a Sunderland, nella strada a fianco a quella dove viveva sua madre.
“Tutti capiscono cosa stiamo facendo perché è incredibilmente genuino, viene dalla mia esperienza personale, è gratis e lo sarà sempre – ha dichiarato Ryan Riley -. Il problema era stato completamente ignorato, e io sento queste storie ogni giorno. Durante l’ultimo evento una donna ha detto che ciò che aveva mangio era la cosa migliore e più bella da quando le era stato diagnosticato il cancro. È una cosa meravigliosa“.
2. Rubies in the Rubble, vari negozi
Circa un terzo di tutta la produzione di frutta e verdura nel mondo non raggiunge mai i nostri piatti. Stiamo parlando di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo che ogni anno vengono sprecate. “Se riducessimo solo di un quarto questa cifra, ci sarebbe abbastanza cibo per sfamare tutti sul pianeta“, si legge sul sito di Rubies in the Rubble.
Armati di qualche ricetta di famiglia e degli ortaggi e frutti scartati dal New Covent Garden Market Jenny Costa e Alicia Lawson, le due fondatrici di Rubies in the Rubble, hanno provato a dare il proprio contributo nella riduzione dello spreco alimentare. Lo scopo di questa azienda è quello di trasformare frutta e verdura respinte dal mercato perché brutte in marmellate, chutneys e nel prodotto ormai diventato un vero cult, il Banana Ketchup.
3. The Real Junk Food Project, Birmingham
The Real Junk Food Project muove i suoi passi dal freeganesimo, uno stile di vita anticonsumista nel quale le persone utilizzano strategie di vita alternantive, che si basano sulla partecipazione limitata all’economia convenzionale e sul minio consumo di risorse.
Tra i punti chiave del freeganesimo c’è la solidarietà con la comunità, la generosità, la coscienza dei problemi sociali, la libertà, la cooperazione, la condivisione. Il tutto si contrappone ai principi di una società materialista, apatica moralmente, competitiva, che mira al conformismo e all’avidità.
Il freeganesimo ha tra le sue attività cardine il recupero degli scarti, soprattutto quelli alimentari, come i cibi in scadenza al supermercato. In Italia, l’esperienza freegan è stata affiancata da forme istituzionalizzate per il recupero delle eccedenze di produzione come la Fondazione Banco Alimentare e il Last Minute Market nato dal progetto di Andrea Segrè della facoltà di Agraria dell’Università di Bologna. Ma anche lo stesso Massimo Bottura dell’Osteria Francescana, con il Refettorio Ambrosiano nato durante Expo, ha dimostrato che lo scarto può trasformarsi anche in cibo stellato.
The Real Junk Food Project utilizza i principi freegani, recuperando frutta, verdura, pane e altri beni alimentari e mettendoli insieme in dei pacchetti poi distribuiti per delle donazioni. Inoltre l’azienda crea delle pietanze anche per catering.
4. Community Farm
Community Farm è un’impresa agricola sociale, che si basa sulla coltivazione e rivendita in scatole di cibo biologico. L’obiettivo è quello di aiutare le persone a sviluppare una migliore comprensione dell’origine del cibo, recuperare un contatto con la terra e con i luoghi dove gli alimenti vengono coltivati, imparando al contempo a praticare un’agricoltura sostenibile.
Oltre a vendere i prodotti coltivati sui terreni posseduti da oltre 500 contadini locali, The Community Farm ha anche un programma chiamato “adopt a crop”, adotta un raccolto, mirato alle persone più vulnerabili, bisognose di costruirsi una professione o di trovare un conforto terapeutico nella terra.
5. The Ethicurean
In Italia ormai quasi tutti gli chef hanno il proprio orto da cui attingono per creare i propri menu. Il primo ad attirare l’attenzione con un menu “a metro zero” fu Pietro Zito con il suo ristorante Antichi Sapori a Montegrosso, in Puglia.
Sembra che l’idea piaccia ora anche agli inglesi di The Ethicurean, locale con menu “dalla terra alla tavola”, che cambia anche due volte al giorno. Pranzo, cena e momento dedicato a tè, torte e caffè sono calibrate attorno alle risorse disponibili nel giardino.
6. The Edible Flower Supper Club
I supper club sono un fenomeno abbastanza recente, esploso a Londra influenzando anche altre zone del Regno Unito. Si tratta di una cena in cui c’è un menu pensato con criteri nutrizionali, dei posti limitati venduti in anticipo. I commensali si siedono tutti attorno a un grande tavolo. Si può organizzare un solo supper club a serata: si tratta infatti di un’esperienza esclusiva, di lusso, non una cena da fast food.
Ciò che rende speciale un supper club – che ormai, avrete capito, non è altro che una cena da social eating, solo più sofisticata – è naturalmente il cibo, di cui però si racconta la storia, scoprendo l’origine e gli aneddoti legati a ciò che si ha nel piatto. Poi c’è il racconto degli organizzatori, la location e i commensali.
The Edible Flower Supper Club ha fatto di questa ricetta un’impresa, aggiungendo alle cene esclusive anche lezioni di cucina, conversazioni sul futuro del cibo e dibattiti sulla cultura usa e getta, che in queste cene viene sfidata grazie alla lentezza, esclusività e ricercatezza dei dettagli.
7. Social Bite
La missione di Social Bite è quella di contrastare il fenomeno dei senza fissa dimora in Scozia. Per questo sei attività di bar e caffetteria si sono messe insieme per dare un lavoro a chi combatte contro la povertà. Il sistema messo in atto è quello del pay-it-forward, una buona azione che si trasmette di persona in persona: chi è destinatario di un gesto gentile, anziché ricambiare direttamente al benefattore, effettua a sua volta una buona azione verso il prossimo, e così via.
Social Bite ha vinto OFM Awards 2016 per la sezione dei progetti etici: attualmente sta strutturando anche un programma di housing per i senzatetto.