Il cibo plant-based è ovunque, ma consumarlo non basta a definirci vegani: parola del medico nutrizionista Silvia Goggi, che spiega anche come integrarli nella dieta senza fare greenwashing alimentare
Nei prossimi dodici mesi i cibi plant-based saranno protagonisti dei nostri carrelli della spesa. Secondo quanto riportato da alcuni esperti, interpellati da Food Ingredients First, tra i trend che li riguardano ce ne sono alcuni da mettere a fuoco per un corretto utilizzo dei sostituti vegetali in un’alimentazione equilibrata.
Infatti, anche se l’industria del cibo sta lavorando con molta attenzione su questo segmento di mercato, gli alimenti plant-based – o, meglio, le alternative vegetali trasformate – non sono sufficienti a pianificare una dieta vegana corretta. Parola di Silvia Goggi, medico nutrizionista e autrice del È facile diventare un po’ più vegano (Rizzoli), che aggiunge: “Non si è vegani se si trasformano le proteine vegetali in hamburger”.
Attenzione ai flexitariani
I flexitariani (chi predilige seguire un modello di alimentazione vegetariano, senza rinunciare ogni tanto alle proteine animali) sono considerati i capofila della “plant-based revolution”. Il loro interesse in questi prodotti è scatenato da una maggiore attenzione alla salute e a quella del pianeta. I prodotti plant-based e le bevande vegetali sono pensati per avere una lista di ingredienti semplice e naturale, che possa dire ad ogni voce che quell’alimento “ci fa bene”.
Il trend flexitariano si inserisce in un quadro più ampio, quello del conscious consumerism, una propensione a fare acquisti che possano offrire una percezione e un impatto sociali, ambientali ed economici positivi.
Questo approccio ha spinto in alto la domanda di cibo più sostenibile, etico ed eco-friendly, oltre a richiedere alle industrie alimentari maggiore trasparenza. Solo negli Stati Uniti i lanci di prodotti da forno a base vegetale sono aumentati del 29%, mentre le novità di pasticceria veg sono cresciute del 28%.
“I flexitariani sono persone coscienti dell’importanza di ridurre il consumo di proteine animali, ma sono ancora legati a sapori della loro vita precedente – spiega Goggi – Vogliono essere coerenti con la loro nuova scelta di vita, ma anche confortati da qualcosa che abbia il sapore o assomigli ai cibi di origine animale”. Per questo scelgono carne plant-based, magari sotto forma di hamburger. C’è chi si spinge fino ai gamberetti veg.
“Tuttavia, per essere davvero flexitariani, bisogna ricordare che questa alimentazione prevede il consumo di pasti per il 95% vegetariani e non di pasti a base di proteine animali con contorno di verdure. A differenza di questa categoria di persone, pur avendola amata nella sua vita precedente, il vegano si discosta dalla carne perché non vuole sostenere tutto quello che c’è intorno alla sua produzione”.
Questione di proteine
Ma se i cibi plant-based sono più salubri per il pianeta, secondo Goggi le loro proteine restano meno pregiate rispetto a quelle che possono darci i legumi. La decisione di eliminare i prodotti di origine animale dalla propria dieta può sembrare drastica e poco salutare, ma come spiega Goggi ciò di cui abbiamo bisogno sono gli amminoacidi, che possiamo acquisire anche dai cibi vegetali.
Del resto, “gli animali prendono queste proteine da alimenti vegetali. E noi non mangiamo solo carne. Questo significa che ciò che conta è l’alimentazione vegetale nel suo complesso”. L’unico nutriente che resta da integrare in un’alimentazione veg è la vitamina B12, questione che interessa anche i flexitariani.
L’estetica del plant-based
Uno degli aspetti cruciali nell’alimentazione dei flexitariani è la nostalgia per gli alimenti di origine animale. Per questo le industrie stanno lavorando per garantire una maggiore corrispondenza tra aspetto, texture e sapore dei cibi plant-based. Si tratta di un fattore cruciale per innescare la reiterazione all’acquisto.
Le spezie e gli estratti vegetali sono fondamentali nell’assicurare sapore e colore che rendano il cibo plant-based attraente per chi cerca alternative alla carne. Secondo gli esperti a vincere il match sarà quel brand che riuscirà a portare sul mercato un prodotti dal gusto accattivante con l’etichetta più “pulita” possibile, in cui i vegetali e i loro effetti benefici siano messi bene in evidenza.
Inoltre, il segmento plant-based può essere anche quello in cui lavorare per creare alimenti innovativi per tutti coloro che non contemplano la monotonia nella propria dieta.
La barriera del prezzo
Un’altra barriera all’acquisto per i cibi plant-based è il prezzo. Non si tratta di prodotti economici (almeno per il momento). In questo i vegetali tradizionali – carote, broccoli, peperoni e così via – nonostante gli aumenti di prezzo collegati a costi produttivi e di logistica, restano più convenienti.
Ma per testare la propensione all’acquisto dei consumatori, l’industria alimentare ha iniziato a testare gli snack, sicuramente più accessibili. Il loro profilo nutrizionale forte e la loro versatilità li rendono un campo di gioco perfetto per studiare i bisogni alimentari dei consumatori.
Un’alternativa plant-based per le uova
Un altro trend in ascesa è quello della sostituzione delle uova con alimenti equivalenti a base vegetale. Dagli Stati Uniti arrivano soluzioni modulari a base di enzimi, che stanno rimpiazzando le uova nei prodotti da forno e in pasticceria, senza che ciò sia percepibile nel gusto, consistenza o aspetto dell’impasto.
Una soluzione che potrebbe rappresentare un’alternativa agli allevamenti avicoli, da sempre oggetto di forti critiche a causa del trattamento riservato alle galline, soprattutto quelle allevate in gabbia o a terra.
E se la soluzione fosse imparare a mangiare le verdure?
Il boom del cibo plant-based sembra giustificare il voler a tutti costi “ingannare” il nostro cervello. La verità è che chi sceglie questi prodotti, vuole rimanere fedele alla varietà di scelta del passato, operando una sorta di greenwashing alimentare.
“Su YouTube ci sono milioni di video dedicati a ricette vegetali, che possono portarci a mangiare verdure tal quali e non trasformate, se non da diverse tecniche di cottura”.
E a chi risponde che anche per coltivare vegetali servono acqua e suolo, Goggi risponde: “I vegetali servono anche per alimentare animali: quindi meno animali consumiamo, meno suolo e acqua impieghiamo”.