La cittadina di Gujo Hachiman è ritenuta la capitale mondiale nella riproduzione degli alimenti. Si tratta di un settore che non teme la concorrenza della stampa 3D
A quale bambino non è capitato di cercare di addentare un chicco d’uva o una fetta di anguria per poi accorgersi al tatto che si trattava di un frutto finto? In Giappone c’è la capitale del cibo finto. È la cittadina di Gujo Hachiman, a tre ore a ovest di Tokyo, dove l’industria dello Shokuhin sanpuru – questo il nome giapponese – vale 90 milioni di dollari. In realtà si tratta di un distretto che si distingue per la sua artigianalità espressa dalle sapienti mani dei lavoratori e delle tecniche sopraffine che rendono molto difficile distinguere gli alimenti copiati da quelli reali.
© Robert Young / Flickr
Un po’ storia del cibo finto
Il giornale britannico The Guardian ha fatto un viaggio in questo mondo cercando di carpirne i segreti e raccogliendo le testimonianze di chi ha esperienza nel modellare cera o altro materiale per realizzare cibo finto. E nel frattempo ha cercato di fare un po’ di storia di questa industria a partire dal suo creatore, Takizo Iwasaki, che fu ispirato dalla cera di una candela nella realizzazione dei suoi primi alimenti non commestibili.
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La prima giudice del suo lavoro fu sua moglie Suzu che ebbe difficoltà a capire che l’omelette che suo marito le aveva presentato non era vera. Era il 1932. C’è anche chi sostiene che il fiorire di questa produzione in Giappone sia dovuta alla necessità dei ristoranti giapponesi di offrire ai loro clienti, spesso turisti, le rappresentazioni plastiche dei piatti dei loro menu per facilitare la loro scelta.
Una delle aziende del settore
Sanpuru/Sample Kobo è una delle principali aziende attive nel settore di Gujo Hachiman. Produce e vende qualsiasi tipo di oggetto nella forma di un alimento, dalla penna USB agli orecchini. I costi, tuttavia, possono essere elevati anche perché si tratta di un’attività da svolgere prevalentemente a mano assicurando il bilanciamento tra realismo ed estetica.
Artigianalità vs stampa 3D
Katsuji Kaneyama, president of Sanpuru Kobo si è detto convinto che la stampa in 3D non riuscirà a sostituire il lavoro dei dieci artisti che lavorano per lui: «Le stampanti 3D fanno un prodotto discreto, ma ci vuole più tempo e più denaro. Inoltre si può facilmente individuare la differenza tra un modello stampato e uno fatto a mano». Ogni anno gli artigiani di Kaneyama realizzano 130mila alimenti. E ce ne sono alcuni più difficili di altri. A detta dell’imprenditore sul più difficile da riprodurre non ci sono dubbi: il sushi.