Vi abbiamo chiesto qualche settimana fa di rispondere ad alcune domande su come le startup stanno affrontando la crisi. Ecco che cosa è emerso
La crisi ha costretto a chiudere temporaneamente i battenti un terzo delle nostre startup, con un contraccolpo non solo economico, ma anche psicologico avvertito in maniera chiara da 3 aziende su 4. È quanto emerge dal questionario che StartupItalia vi ha chiesto di compilare, e a cui oltre 600 di voi hanno risposto. La grandissima parte delle schede provengono da amministratori delegati e founder: soggetti che hanno, cioè, il polso della situazione, e possono essere ritenuti un termometro attendibile.
La fotografia è quella di un ecosistema che resiste, certo, ma moralmente è già fiaccato da un’emergenza inaspettata. La resilienza da imprenditore aiuta a tenere botta: ma se alle difficoltà dei primi tempi si somma il portato del virus, anche il morale dei più ottimisti comincia a cedere. Questa situazione può essere l’anticamera di una ripresa, o definire l’attimo immediatamente precedente al crollo.
Molto dipenderà dai tempi e dalle modalità di reazione dello Stato, dell’Europa e del sistema bancario. La percezione, a questo riguardo, è quasi completamente negativa. Ma conteranno sempre più anche il sostegno dell’entourage – dipendenti e familiari – e la capacità di continuare a formarsi per andare incontro a nuove sfide e ai cambiamenti. E non manca chi dalla crisi pensa persino di guadagnarci, non sempre in maniera deteriore. Lo vedremo in dettaglio.
Ma prima, corre l’obbligo di una premessa metodologica: la nostra survey non si contrappone a quelle degli istituti di ricerca. Il campione è composto dalle aziende del network di StartupItalia che hanno deciso di rispondere spontaneamente: non c’è stata, quindi, la fase di selezione a priori di un campione rappresentativo che contraddistingue le rilevazioni professionali. L’obiettivo era, da principio, semplicemente quello di suggerirci qualche spunto di riflessione. A nostro parere è stato raggiunto. Grazie per averci messo a parte delle vostre sensazioni, cercheremo di farne buon uso.
Covid 19, abbandonati nel mare in tempesta
I principali problemi riscontrati dalle imprese dell’ecosistema che ruota attorno a StartupItalia sono stati (prevedibilmente) la crisi di liquidità (53,2%) e il calo dei consumi (45,3%). Seguono a distanza la difficoltà a convertire il business (24,2%) e mancanza di chiarezza sulle normative (22,4%).
Poco meno della metà (circa il 44, 2%) degli intervistati si sente ancora positivo a due mesi dall’esplosione del virus Sars-CoV2, ma convivono sentimenti di frustrazione (25,4%), paura di fallimento (24,2%), necessità di prendere decisioni drastiche (20,8%), dipendenti scoraggiati (20,8%). Per qualcuno c’è addirittura insonnia (10,8%).
Colpisce che tre imprenditori su 4 (il 75,6%) non si siano sentiti supportati: tra questi, il 32,6% si è sentito abbandonato su tutti i fronti mentre quasi la metà (43%) ha avvertito un supporto almeno parziale. Non dalle istituzioni, però: scarso il sostegno percepito da parte di quelle nazionali (Governo, 8,3%) e ancor meno da quelle locali (3,1%). Forte, invece, il supporto fornito dalla rete informale composta da familiari (28,1%) e collaboratori (25,2%), che finora pare aver retto.
Proprio la squadra, nodo fondamentale, era il focus di una delle domande: il morale dei collaboratori nella maggior parte dei casi è stato giudicato parzialmente ottimista dagli intervistati (43,7%): ma quasi altrettanti (41,2%) ritengono che, invece, a prevalere sia l’incertezza. Un problema serio, perché come visto poco sopra le energie che consentono a chi sta in cabina di regia di resistere arrivano in buona parte dai collaboratori.
Risvolti positivi cercasi
Risvolti positivi nella crisi Covid19? Trovarli è possibile per il 91,4% degli intervistati. Ci sono, ad esempio, le possibilità offerte dal cambiamento delle abitudini di consumo (e quindi del mercato, 37,4%) e una sorta di selezione naturale delle imprese migliori (34,8%). Secondo un questionario su 3, in poche parole, la crisi potrebbe rappresentare un banco di prova in grado di testare strategie e modelli di business.
Ci sono, però, anche aspetti nettamente più prosaici. Il risparmio su trasporti e pranzi, ad esempio (33,5%), ma anche la maggiore concentrazione dovuta al lavoro da casa (28%) e una maggior disponibilità di momenti da dedicare a sé stessi (25,3%). Emerge, poi, un dato interessante: meno tempo speso in riunioni viene salutato con favore da un imprenditore su cinque (il 20,9%). Si tratta, a nostro avviso, di un aspetto su cui riflettere.
Il boom della formazione
Se guardiamo a come le aziende si stanno preparando a cogliere le opportunità, appare chiaro che per molti il primo passo è dedicarsi alla formazione per parare il colpo e ripartire, anche meglio di prima. Quasi la metà di chi ha risposto (il 46,5%) dichiara di studiare più di due mesi fa, mentre il 33,8% si tiene al passo partecipando a webinar e iniziative online. Non solo: al 37,2%la crisi ha permesso di migliorare il proprio modello di business, regalando tempo e distacco necessario per rivedere strategie e obiettivi.
“Come vedi la tua azienda nei prossimi 6-12 mesi?” Domanda forte, senza dubbio. Se un imprenditore su cinque (il 22,7%) crede che tutto andrà bene, il 18 % dichiara che, addirittura, dall’emergenza potrebbe guadagnarci. A far da contraltare, quasi uno su due (il 40% circa) teme di perdere fatturato, e, tra questi, la metà (cioè il 22,6%) si prepara a tempi grami (perdita di oltre metà fatturato).
Aiuti di Stati e credito per incassare il colpo
Capitolo interessante quello sui driver per uscire dalla crisi. Gli startupper della nostra community puntano su aiuti di Stato (41,2%), aiuti dall’Europa (39,2%), credito da parte delle banche (33,8%), fiducia nel team di lavoro (31,8%). Seguono, con distacco, investimento in formazione (21,1%), investimento in capitale (17%), spending review interna (11,4%) e investimento in pubblicità (11,4%). Per quanto riguarda, invece, le richieste specifiche al Governo, oltre ai sussidi, il consiglio per Palazzo Chigi è puntare sulla digitalizzazione (40,5%). Ma addirittura un terzo risponde che potrebbe essere utile rivedere la legislazione sul lavoro.
Smart working, tra infrastrutture e organizzazione
Infine, lo smart working, tema ormai di stretta attualità: a ottobre erano meno di 600mila ad applicarlo in Italia, rilevava l’Osservatorio del Politecnico di Milano. Oggi, secondo stime recenti, sarebbero ben otto milioni i lavoratori che operano da remoto. L’importanza del tema è legata anche al fatto che, nella cosiddetta Fase 2, la riapertura sarà progressiva: chi può, quindi, è invitato a continuare a lavorare da casa per alleggerire il sistema dei trasporti ed evitare i famosi assembramenti.
Nove aziende su dieci hanno già utilizzato procedure di questo tipo: sull’efficacia, le opinioni si dividono. Mentre la metà degli intervistati pensa che il lavoro “in esterna” sia sempre una risorsa utile per l’azienda, il 38,7% crede che possa esserlo solo a patto di avere una strategia. Esiste anche un 9,9% convinto che non serva alla propria azienda, una quota fisiologica che potrebbe dipendere dal tipo di business.
Le difficoltà più frequenti? Le risposte, in questo caso, sono polverizzate, e questo rende difficile l’identificazione di linee di azione valide. Solo due le affermazioni su cui si registra un accordo di una certa rilevanza: l’assenza connessione veloce (22,9%) e la mancanza di coordinamento in azienda (16,6%).
Come tradurre in pratica questo suggerimento? Ovviamente, fornendo un’infrastruttura valida alle zone che ne sono sprovviste. Ma hardware e software non bastano. In mancanza di formazione adeguata, le potenzialità della Rete, ormai è chiaro, vengono sfruttate solo in minima parte. Un ripensamento strategico può essere avviato anche a emergenza in corso. C’è un altro motivo per pensarci seriamente: oltre a un potenziale incremento di produttività, smart working e turnazione comportano un vantaggio economico legato alle minori necessità di spazio, che porta a una riduzione, dei costi fissi di affitto. Molte aziende lo hanno già fatto. Perché non considerarlo?