Un rapporto di Accenture prova a sciogliere i timori delle imprese sul futuro e a prevedere le dinamiche che rimoduleranno i propri modelli di business
Aziende impreparate per il futuro. O meglio, timorose. Nell’88% dei casi hanno ben chiare le sfide di oggi ma solo il 6% si dichiara totalmente fiduciosa nelle capacità di prevedere e attrezzarsi per quelle che arriveranno. Lo dice un nuovo rapporto realizzato da Accenture e battezzato Business Futures 2021, preparato proprio con l’obiettivo di aiutare i dirigenti a tracciare nel prossimo triennio un percorso più preciso verso la ristrutturazione del proprio modello di business e quindi la crescita.
Saper anticipare il mutamento
“In questi ultimi due anni abbiamo assistito alla trasformazione repentina di società tradizionalmente resistenti al cambiamento. L’entità della crisi è stata tale da sollecitare le aziende non soltanto a ripensare, in un ristretto lasso di tempo e sulla spinta di necessità cogenti, modelli di business e modi di lavorare sino ad allora indiscussi, ma le ha anche poste di fronte all’opportunità, non più rinviabile, di attrezzarsi adeguatamente per affrontare il futuro” spiega Mauro Marchiaro, strategy & consulting lead di Accenture per Italia, Europa Centrale e Grecia. “È in questo nuovo contesto, in cui per restare competitivi occorre non solo fare esercizio di resilienza rispetto al presente ma saper anticipare il mutamento, che il nostro rapporto Business Futures 2021 vuole essere un modello di riferimento per le imprese e i dirigenti di azienda per affrontare percorsi di trasformazione individuali e definire le strategie future”.
Dal lavoro virtuale alle nuove catene logistiche fino alla promessa di nuove scoperte scientifiche, ci sono oggi gli strumenti per rimettere mano anche a quei processi storicamente complessi da modificare (e in certi casi destinati a difficoltà, fallimento o al massimo a una penosa sopravvivenza). Accenture ha dunque selezionato 25 segnali di cambiamento nel panorama imprenditoriale e nel rapporto ne ha evidenziati sei ritenuti fondamentali per il successo futuro delle aziende.
Imparare del futuro (cioè dai dati)
Il primo è l’invito per così dire a imparare dal futuro, cioè a vedere il cambiamento prima che si verifichi. Cosa significa? Che riferirsi esclusivamente ai dati storici per prevedere gli sviluppi non è più un approccio valido. Molte organizzazioni si avvalgono ora di strumenti come analytics e intelligenza artificiale per individuare, rispondere e tenere conto dei cambiamenti del mercato e dei consumi. Dal rapporto emerge ad esempio che il 77% delle aziende ha aumentato il ricorso a fonti interne ed esterne di dati in tempo reale negli ultimi 12 mesi. Un buon segnale, eppure solo il 38% li utilizza costantemente nello svolgimento delle attività quotidiane. Inoltre, solo il 36% delle aziende ha affermato di disporre di un membro del gruppo dirigente al quale è demandata la responsabilità di queste iniziative, mentre meno della metà (43%) dispone di competenze sufficienti all’interno del proprio organico per sostenere questa capacità. Pochi dati e senza professionisti (data analyst, data scientist e simili profili) che sappiano leggerli.
Decidere in periferia per essere più rapidi
La seconda tendenza è la delega ai distretti periferici, cioè il decentramento del processo decisionale. I comportamenti dei consumatori stanno cambiando velocemente, con l’ingresso di nuovi concorrenti pronti a soddisfarne le esigenze. Le aziende rispondono a queste dinamiche – di nuovo, a queste sfide – delegando il potere decisionale a coloro che operano nei “distretti periferici” aziendali, sfruttando una struttura in grado di agire in maniera rapida e agile, alleggerendo il carico presso la sede centrale, che può così concentrarsi sulle decisioni strategiche chiave. Il rapporto ha infatti rilevato che il 91% delle aziende è disposto ed è in grado di operare maggiormente per rispondere a contesti di business sempre più frammentati, mentre oltre la metà (58%) afferma che il proprio modello di business cambierà nel corso del prossimo anno.
Sposare sostenibilità e profitti, un problema ancora da affrontare per il futuro
Terzo elemento è il cosiddetto purpose sostenibile: il problema di partenza è che spesso emerge un profondo divario tra le intenzioni e i risultati, detto divario intention-delivery, indicativo delle difficoltà che si incontrano nel tenere fede agli impegni presi ad esempio in tema di salute mentale dei dipendenti, giustizia sociale, equità e problematiche ambientali. Il rapporto ha rilevato che il 28% dei dirigenti sostiene di non essere personalmente impegnato nella creazione di valore per tutti gli stakeholder, mentre quasi la metà (48%) delle aziende riferisce che una delle maggiori barriere è da ricercare nel bilanciamento dei loro interessi commerciali. Fortunatamente emergono segnali che lasciano intuire un orientamento teso a tutelare le ambizioni in tema di sostenibilità sposata ai profitti, con solo il 24% dei dirigenti che afferma di essere disposto a prendere in considerazione la possibilità di ridurre gli investimenti in iniziative ambientali, sociali e di governance per evitare di non centrare gli obiettivi fissati in termini di utili. Qualcosa sta cambiando ma è decisamente ancora troppo poco.
L’approvvigionamento del futuro oltre i limiti fisici e su scala regionale
Il quarto aspetto è l’approvvigionamento senza limiti, cioè il superamento del perimetro fisico dell’esecuzione. E qui entra in gioco la pandemia, che ha determinato un inedito allungamento delle catene logistiche, in un clima che ha visto le aziende adottare misure drastiche e fare di tutti per mantenere le merci in movimento. Per soddisfare le crescenti aspettative di clienti esigenti e chiusi in casa nell’evasione degli ordini, mantenendo allo stesso tempo inalterati aspetti come economicità dei costi e sostenibilità, le aziende hanno dunque abbattuto (e continuano a modificare) i limiti fisici delle loro catene logistiche. Secondo Accenture la maggioranza (92%) delle aziende ha aumentato o prevede di aumentare il ricorso a centri di micro-fulfillment; un numero analogo (96%) di aziende dispone o prevede di creare catene logistiche su scala regionale. Anche qui, l’allineamento sul valore per tutti gli stakeholder mostra la sua importanza: l’80% delle aziende afferma che le aspettative dei clienti in tema di sostenibilità sono aumentate significativamente negli ultimi 12 mesi.
Il momento dei metaversi
Strettamente collegato a questo aspetto è quello, oggi molto di moda chissà con quali reali prospettive, dei metaversi. O almeno, a livello aziendale, delle virtualità reali. Vale a dire la ridefinizione del senso di realtà e di luogo. Il confine tra fisico e virtuale si assottiglia, e questo accade ed è accaduto in modo ancora più improvviso nella vita di chiunque, ridefinendo il senso della realtà e dello spazio e creando nuovi modi in cui le persone possono vivere, lavorare, consumare e socializzare. Dopo oltre un anno di limitata interazione fisica e di ridefinizione totale delle relazioni le aziende raddoppiano dunque la scommessa sul virtuale, con l’88% che investe in tecnologie per creare ambienti virtuali e, tra queste, il 91% prevede di effettuare ulteriori investimenti. Mentre l’attuale tecnologia di realtà virtuale coinvolge principalmente i sensi della vista e dell’udito, col tempo diventerà sempre più realistica, coinvolgendo tutti i sensi e creando una maggiore connessione con il fisico. Il metaverso di cui parla Mark Zuckerberg, che infatti ha già lanciato un primo prodotto – Horizon Workrooms – specificamente dedicato al mondo aziendale? Chissà.
Tutte le aziende devono essere “scientifiche”
L’ultima tendenza, che di nuovo si tiene con le due precedenti, è il nuovo metodo scientifico. Cioè la necessità che, in una certa misura, ogni azienda debba diventare un’impresa a carattere scientifico. Un’eredità sempre della pandemia di Sars-CoV-2: impegnarsi nella convergenza delle nuove frontiere della scienza porterà grandi opportunità ma solo se le aziende saranno in grado di migliorare i loro approcci all’innovazione. Il rapporto ha rilevato che l’83% delle aziende concorda sul fatto che adottare un approccio scientifico nei confronti dell’innovazione significhi proiettarsi verso il successo futuro, mentre l’82% sostiene che investire in attività scientifiche al di fuori dei loro tradizionali ambiti di settore sarà fondamentale per il successo della loro azienda.
“Se nel contesto dell’emergenza le aziende sono state costrette ad adattarsi e rispondere reattivamente alla trasformazione compressa imposta da una situazione eccezionale, oggi la grande maggioranza di esse concorda sulla necessità di cambiare anche proattivamente le strategie in vista del futuro, sulla base della capacità di leggere in profondità e interpretare in modo coerente i segnali di cambiamento che il presente manifesta” conclude Alberto Antonietti, strategy lead di Accenture per Italia, Europa Centrale e Grecia.