Entro il 2030 le fintech del subcontinente potrebbe valere 500 miliardi di dollari
Entro fine decennio la valutazione dei fornitori di servizi finanziari arriverà a 2,5 trilioni di dollari e, di questa torta, le startup e società fintech si accaparreranno un quinto del valore. A dirlo è Sequoia Capital, uno dei fondi di Venture Capital statunitensi più famosi al mondo. Su StartupItalia ci siamo occupati diverse volte dell’evoluzione dell’ecosistema innovativo indiano: già nel 2018 scrivevamo che il paese si stava affermando come meta degli unicorni (le aziende con valutazione da 1 miliardo di dollari) e abbiamo analizzato i trend legati alla tecnologia, spiegandovi quanto le app di messaggistica come WhatsApp siano decisive per consentire a startup (come Digi-Prex) di offrire, ad esempio, una farmacia online. Da Amazon in giù, sono numerose le Big Tech che hanno messo piede a Nuova Delhi per rimanere con investimenti e promesse di sviluppo. In un paese che convive con forti disuguaglianze, aggravate dalla tragedia della pandemia, e al tempo stesso cresce a livello demografico e sforna milioni di ingegneri ogni anno, le startup sembrano destinate a diventare sempre più protagoniste.
Come si legge in questo approfondimento dell’ISPI, l’incubo del coronavirus sembra alle spalle per l’India, che da fabbrica mondiale dei vaccini ha ingranato con la campagna di somministrazione (a settembre, in un solo giorno, 25 milioni di vaccinati). Secondo diversi osservatori quello appena iniziato sembrerebbe essere il decennio indiano: il Financial Times si è addirittura spinto a dire che è giunto il momento di investire nel paese. A spingere il processo di sviluppo c’è la corsa alla digitalizzazione e all’adozione di internet, con numeri in quest’ultimo caso da primato globale. Questa è una delle fondamenta imprescindibili che giustificherebbe le stime di crescita delle startup e scaleup fintech in India: la loro valutazione complessiva schizzerebbe di dieci volte per raggiungere i 500 miliardi di dollari entro il 2030.
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Sequoia Capital, come altri soggetti di Venture Capital, è presente da tempo in India, dove investe in unicorni come Groww, Razorpay e Pine Labs Ltd. Tra i giganti che meritano una menzione per il loro percorso di avvicinamento al contesto indiano c’è senz’altro Amazon: in questa sede non possiamo ripercorrere l’intera storia – per la quale vi suggeriamo il libro di Brad Stone, Amazon. L’impero – ma basti pensare che gli errori commessi in Cina dal gigante di Seattle, dove ha perso terreno rispetto ai competitor, sono stati un’utile esperienza per cambiare marcia e dare il via alla conquista dell’immenso mercato indiano.
In questo scenario l’India starebbe beneficiando anche dal giro di vite in corso in Cina, che sta colpendo diverse Big Tech (l’ultima Didi, costretta da Pechino a delistarsi da Wall Street). Il decennio è appena cominciato e lo choc della pandemia – o cigno nero come è stato chiamato – dovrebbe essere un monito per tutti i paesi. Se guardiamo però ai numeri ci si rende conto del livello di crescita e finanziamenti in corso a Nuova Delhi: uno degli ultimi aumenti di capitale che ha visto protagonista una startup indiana, Ola, ha registrato una raccolta da 139 milioni di dollari e una valutazione che supera i 7 miliardi.