L’intervista al Co-Founder Guido Gioioso. «Il gaming è alla costante ricerca di interazione per rendere coinvolgente il gameplay». Ma al momento le collaborazioni sono nel B2B. La startup ha ricevuto finanziamenti da e-Novia e CDP Venture Capital
Afferrare una lattina ghiacciata. Sentire il calore di una fiamma mentre la nostra mano virtuale ci passa sopra. Premere un pulsante. Appoggiarsi al marmo freddo di un tavolo, percepire la superficie di un tessuto in cuoio. Tutto questo lo abbiamo sperimentato indossando un visore Meta Quest, che da anni si sta diffondendo sul mercato per immergere gamer e utenti in una realtà virtuale sempre più convincente e autentica. Alla sensazione tattile ci ha però pensato il TouchDiver, tecnologia wearable adattabile a qualsiasi visore e sviluppata da Weart, startup innovativa italiana che abbiamo incontrato nella sede di e-Novia a Milano. In questo articolo abbiamo raccolto anzitutto le nostre sensazioni, orientate poi da Guido Gioioso, cofondatore di una realtà sbocciata come progetto di ricerca nel laboratorio di robotica dell’Università di Siena. La società è stata messa in piedi nel 2018 insieme al professore Domenico Prattichizzo e Giovanni Spagnoletti, con il contributo decisivo di e-Novia, primo finanziatore e partner industriale.
Come si indossa il TouchDiver
Come vedete dalle immagini pubblicate nell’articolo, TouchDiver è una sorta di guanto, con lacci che assicurano il dispositivo al polso. Si può usare su una o entrambe le mani. In pochi secondi la startup è in grado di aggiungere la percezione aptica alla esperienza virtuale e, chissà, un domani al metaverso. «Le app di VR e AR – commenta Gioioso – credo siano una forma di metaverso, ossia applicazioni in cui l’utente entra in un mondo digitale». Nella nostra prova abbiamo agganciato il controller del Meta Quest al dorso della mano grazie a un sistema magnetico. La vestizione è terminata indossando su pollice, indice e medio, tre ditali dentro cui è custodita la tecnologia sviluppata dalla startup, protetta da più brevetti.
Anticipiamo che al momento TouchDiver non è un dispositivo ancora adatto al gaming. Non esistono applicazioni per videogiochi, anche se la domanda è sorta spontanea. «Nel mondo gaming stiamo dialogando con varie aziende – spiega Gioioso -. Ci sono grandi opportunità soprattutto guardando ai piccoli sviluppatori. Il settore è alla costante ricerca di interazione per rendere coinvolgente il gameplay». Ma rimaniamo coi i piedi per terra e esploriamo le aree di interesse di WEART, startup che ha già messo sul mercato il TouchDiver.
La libreria aptica
Nel momento in cui un’azienda è interessata al dispositivo, si potrebbe chiedere come è possibile ricreare quelle sensazioni tattili rispetto ai materiali di riferimento. Un’azienda di arredamento come può raccogliere i dati di vari tessuti da far poi toccare ai propri clienti? Le strade sono due: se l’azienda in questione ha un team di sviluppo allora il software si interfaccia con motori come Unity e Unreal Engine e i tecnici possono pescare da una libreria che Weart fornisce loro, assegnando ciascuna sensazione tattile al materiale specifico. «In alternativa possiamo farlo noi per il cliente».
«Ad oggi siamo attivi nel B2B – dice Gioioso – in campi che vanno dall’arredamento all’automotive. In generale le applicazioni riguardano il training industriale e il virtual prototyping. Prima di costruire un’auto si utilizzano soluzioni di VR e grazie alla nostra tecnologia se ne possono valutare ergonomia e materiali anche dal punto di vista tattile». Un altro esempio viene dall’addestramento sul campo, situazioni in cui operatori devono compiere azioni delicate, magari in condizioni dove i protocolli di sicurezza sono molto rigidi. «Pensiamo al chirurgo in una sala operatoria virtuale, che si addestra a compiere operazioni e grazie a questo device può toccare con mano i tessuti e parti del corpo».
“Sta iniziando una nuova era di computazione. Passiamo dal vivere esperienze digitali allo spacial computing: i contenuti digitali vivranno intorno all’uomo”
Dal laboratorio al mercato
Nel corso del test cui abbiamo preso parte, Gioioso ci ha riferito che «gran parte degli avanzamenti tecnologici sono stati resi possibili lavorando quotidianamente con designer e ingegneri di e-Novia». Ma prima dell’incontro con quella che dal 2015 si definisce la Fabbrica di Imprese, cosa è stato fatto? «Weart nasce da un’esperienza di ricerca condotta nel laboratorio di robotica dell’Università di Siena, guidato dal professore Prattichizzo. ll lavoro era altamente focalizzato sullo studio della mano per quanto riguarda capacità motorie e sensoriali. Abbiamo sviluppato algoritmi di controllo per mani robotiche, ma anche dispositivi wearable, pensati proprio per riprodurre sensazioni tattili». Tecnicamente si definiscono interfacce aptiche. «Sono in grado di riprodurre sulla pelle degli utenti forze, vibrazioni e stimoli termici».
Insomma, tutto quello che vi abbiamo documentato brevemente all’inizio dell’articolo. Appoggiandosi su un tavolo in marmo abbiamo percepito la pressione e il freddo del materiale, così come gli stimoli termici (da un massimo di 42 gradi fino a un minimo di 18). In sicurezza e tranquillità, confermiamo una cosa: il caldo e il freddo si sentono eccome. La difficoltà, stando al team, non è stata tanto quella di riprodurre la temperatura, quanto di dissiparla. «Al termine dell’esperienza in laboratorio abbiamo intravisto un potenziale della tecnologia che poteva essere integrato sul mercato». Il test del dispositivo ci ha anche aiutato a capire che realtà virtuale oggi e metaverso domani non per forza prefigurano un futuro distopico, ma offrono tecnologie al servizio del lavoro.
Weart ha lanciato sul mercato il TouchDiver nell’autunno 2021. Ma lo sviluppo non è ancora finito, dal momento che gli obiettivi del fundraising in corso su Backtowork puntano a miniaturizzare la tecnologia, per renderla ancora più leggera. Per intenderci: al momento videogiocare con quell’ingombro risulterebbe parecchio scomodo. «In cantiere c’è la realizzazione della seconda generazione di device». In vista di un metaverso più chiaro e concreto, tema su cui noi di StartupItalia teniamo sempre alta l’attenzione, l’incontro con la startup ci ha fornito un primo timido contatto con questo mondo virtuale. «Sta iniziando una nuova era di computazione – conclude Gioioso -. Passiamo dal vivere esperienze digitali allo spacial computing, ovvero i contenuti digitali vivranno intorno all’uomo, fruibili grazie a dispositivi wearable».