Nuova puntata del nostro viaggio alla scoperta dei protagonisti del venture capital. Intervista ad Andrea Di Camillo, Founding Partner di P101, fondo VC che deve il suo nome al Programma 101 della Olivetti. «Resta la più significativa pagina di innovazione nel Dopoguerra italiano». Sarà tra gli speaker di SIOS23 il 21 dicembre
Anche Andrea Di Camillo sarà con noi al SIOS23 Winter Edition, che torna giovedì 21 dicembre a Milano nel prestigioso Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana. Vieni ad ascoltarlo dal vivo e iscriviti qui all’evento. Scopri qui tutti gli speaker e il programma.
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«Al Paese serve continuità. A chi si chiede come mai l’Italia non abbia una Amazon rispondo: negli Stati Uniti hanno investito triliardi in vent’anni su tecnologia e innovazione. Noi nell’ultimo decennio arriviamo forse a 10 miliardi». La prospettiva di Andrea Di Camillo, Founding Partner di P101, non è però drammatica sul futuro del venture capital e dell’ecosistema startup in generale. La sua è la visione di uno dei decani del settore, il cui fondo opera dal 2013, dagli anni in cui il termine startup è entrato prima nel gergo giuridico per poi essere gradualmente riconosciuto nell’opinione pubblica. Di Camillo è il nuovo protagonista del percorso editoriale che stiamo compiendo per raccontare i profili degli investitori che popolano il VC italiano.
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Tutto è cominciato alla Olivetti
Nato a Biella, Andrea Di Camillo ha studiato economia a Torino per poi lavorare in Olivetti tra il 1995 e il 1997. «Resta la più significativa pagina di innovazione tecnologica nel dopoguerra italiano». Al punto che nel nome P101 è esplicitato un chiaro riferimento al Programma 101 di Olivetti, il primo personal computer venduto al mondo e presentato a New York nel 1965. Prima però di omaggiare una pietra miliare della storia industriale italiana, Di Camillo ha seguito Elserino Piol, volto celebre dell’Olivetti e battezzato padre del venture capital italiano, scomparso nell’aprile 2023. «Ho lavorato con lui in Kiwi, uno dei primi fondi in Europa che investiva in startup».
Gli anni erano i Novanta, con l’entusiasmo per il web e per tutto ciò che avesse .com nella ragione sociale. «In quel periodo sono nate cose che nel bene e nel male sono rimaste. La più famosa e di successo è stata sicuramente e comunque YOOX». Lo scoppio della bolla delle dot.com a inizio millennio ha significato una grande correzione del mercato, con l’annuncio di morte prematura per internet e il digitale. «Tutti gli investimenti nel mondo startup in generale si sono azzerati». Tra 2002 e 2004 Andrea Di Camillo ha dunque scelto di sospendere il lavoro e prendersi due anni sabbatici in cui ha girato il mondo.
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Anni sabbatici
«Cosa ho imparato in quel periodo? A surfare e ad andare in moto. Il mio apice sportivo è stata la partecipazione al Rally dei Faraoni». Al suo rientro in Italia ha deciso di riprendere il discorso con il venture capital, lavorando come business angel. «In quel frangente ho conosciuto Paolo Ainio, uno dei fondatori di Virgilio e protagonista di una delle exit più importanti di quegli anni. Abbiamo iniziato a fare investimenti per poi decidere di darci una struttura più industriale». E così si è arrivati alla fondazione di Banzai. Le competenze in materia gli sono poi valse la convocazione nella task force voluta dall’allora ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, che avrebbe posto le basi per lo Startup Act nel 2012. «Con tutti i difetti che può avere, è un qualcosa che ha retto fino ad oggi».
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P101 è stata infine fondata nel 2013, negli anni in cui l’ecosistema iniziava ad avere una riconoscibilità, per quanto ancora di nicchia. I dieci anni trascorsi da allora sono quelli che abbiamo raccontato sul nostro magazine, fatti di grandi successi, passi avanti e ritardi cronici che hanno pesato sulla competitività del Paese. «In P101 abbiamo 5 fondi e 500 milioni di euro in gestione. Per due terzi sono startup italiane, mentre la restante parte sta all’estero». Sono diversi i soggetti VC italiani che si confrontano con altri ecosistemi europei. «La parte internazionale ha un ruolo e la nostra strategia è investire in società in cui l’angolo italiano ha un peso. O investiamo in imprenditori italiani oppure in aziende con business che puntano ad aprirsi al nostro mercato».
Startup, un aggettivo
Nelle interviste ai venture capitalist dedichiamo una parte del racconto anche al commento sull’attualità. In molti contesti globali la raccolta di capitali registra da tempo cali importanti rispetto agli anni precedenti. «Il nostro è un mestiere fatto di cicli. Abbiamo vissuto una fase di forte ed eccessiva attività tra 2018 e 2021. Sicuramente ci aspettano 2/3 anni di rallentamento. Non è tanto un problema di semestri. Ragioniamo su archi temporali lunghi. Tutto questo va letto alla luce del fatto che negli anni scorsi piovevano denari».
Sull’Italia poi è la continuità che farebbe davvero la differenza secondo Di Camillo. «Se continui a investire gli investitori arriveranno. È inutile però chiedere di defiscalizzare gli investimenti, soluzione utile, se a monte nessuno ha spiegato il valore degli investimenti. Mi spiego: ancora oggi c’è confusione tra la startup e il suo valore tangibile reale. Le startup, ricordo, è un aggettivo e non un sostantivo. È una fase dell’azienda, non la cosa divertente che fa un team di giovani». Gli scenari globali, tra inflazione e guerre, hanno senz’altro un impatto sull’economia, ma secondo Di Camillo il nostro Paese non è il più esposto. «Il venture capital in Italia è ancora in formazione e dunque ha ancora connessioni basse con il resto dei mercati, nel male, ma soprattutto nel bene. Negli USA ci sono tanti fondi che non partiranno. Io credo che andremo meglio di altri mercati».