La nostra rubrica Italiani dell’altro mondo ci porta a Boston, per incontrare la ricercatrice palermitana al lavoro per sconfiggere una delle malattie più diffuse. Ne soffrono 55 milioni di persone nel mondo
«Dato quanto ci ho investito, la vedo difficile tornare in Italia. Non vedo fondi di ricerca adeguati a quello che faccio qui». Curare l’Alzheimer è uno degli obiettivi scientifici del secolo ma, come ha ricordato Claudia Marino, siciliana e da diversi anni impegnata nei laboratori di Harvard a Boston, il traguardo è ancora lontano. Anni o decenni? Difficile saperlo, anche se in questa fase è essenziale puntare sugli studi accademici e sui test in grado di dirci se ci stiamo mano a mano avvicinando a risolvere una delle patologie neurodegenerative più drammatiche della nostra epoca. Per raccontarlo StartupItalia ha fatto tappa nella capitale del Massachusetts, per parlare con la Instructor del Schepens Eye Research Institute dell’Ophthalmology department alla Harvard Medical School. Lei è la protagonista della nuova puntata della rubrica Italiani dell’altro mondo. «Il dottore Alzheimer è il medico che nel 1906 ha scoperto per primo questa malattia in forma congenita in una donna. In realtà non stiamo parlando di una sola malattia, ma di uno spettro di malattie».
L’Alzheimer oggi
Claudia Marino ha 37 anni ed è nata e cresciuta a Palermo. In Sicilia ha fatto gli studi in Farmacia, approcciando la materia che l’avrebbe portata a prender un volo direzione Stati Uniti. «Ho collaborato con il CNR di Palermo e da lì mi sono appassionata alla ricerca sull’Alzheimer». Patologia che riguarda circa 55 milioni di persone nel mondo, a cui ogni anno se ne aggiungono circa 10 milioni secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Demenza e perdita della memoria sono i sintomi noti a tantissime famiglie che fanno i conti con una situazione clinicamente difficile e umanamente straziante.
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L’augurio è che prima o poi possa arrivare una cura. Abbiamo chiesto qualcosa in più a Claudia Marino. «Quando ho iniziato a fare ricerca sull’Alzheimer le uniche cure approvate dalla FDA (Food and Drug Administration, ndr) era quelle sintomatiche: aiutano a ridurre i sintomi». Negli ultimi tempi sono state presentate soluzioni alternative, su cui però occorre fare ancora molta chiarezza. «Stanno cercando di approvare alcuni anticorpi, che hanno lo scopo di ridurre l’alterazione delle proteine alla base della patologia». Per un pubblico non specializzato l’Alzheimer potrebbe essere riassunto in queste parole secondo la ricercatrice di Harvard. «Si tratta di una patologia causata da proteine che si alterano e questo provoca la formazione di depositi nel cervello. Sono i segni della malattia».
Fare ricerca ad Harvard
Questo è una parte del contesto di ricerca che abbiamo voluto raccontare affidandoci all’esperienza di un’italiana che lavora all’estero in uno degli atenei più prestigiosi al mondo. Ma come ha fatto Claudia Marino a raggiungere questo traguardo professionale? «Dopo la laurea ho deciso che volevo fare la ricercatrice. Così ho scelto un dottorato che mi permettesse di farlo sia in Italia sia negli Stati Uniti. Sono andata nell’università del Texas». In tutto cinque anni di percorso in America, dove si è sempre focalizzata su quell’ambito. Da lì ha poi fatto il salto con il post-doc ad Harvard. «Non credevo fosse vero, soprattutto perché Harvard mi ha trovata su una piattaforma di career development». E da allora sono passati quattro anni, in cui ha fatto esperienza in team numerosi e interdisciplinari.
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«Sono una farmacista, ma ho fatto anche ricerche biofisiche e sugli animali. Nella mia quotidianità frequento il laboratorio e analizzo i tessuti post mortem». Com’è lavorare in una realtà d’eccellenza simile? «Il livello è parecchio alto. Ma questo perché in America c’è un sistema di fondi che permette di aver disponibilità economica. Ci garantisce di essere tra i primi al mondo». Pur non avendo l’attrattiva di San Francisco o di Houston, Boston rima una città di grande importanza per le startup. «Harvard e il MIT mettono a disposizione grant per finanziare startup. Nel mio ambito penso siano fondamentali per lo sviluppo di terapie innovative». Claudia Marino ha infine evidenziato uno dei nodi cruciali, che rientra tra le missioni dell’accademia statunitense: trasferire la ricerca in un prodotto da lanciare sul mercato. «La missione del laboratorio è fare scienza che possa arrivare sulla clinica. L’accademia è importante per fare studi fondamentali, etici e rigorosi. Ma poi bisogna chiedersi come metterli in pratica».