Privacy weekly | Come ogni venerdì ospitiamo il guest post di Guido Scorza, avvocato e componente del Collegio del Garante per la Protezione dei dati personali. Un viaggio intorno al mondo su tutela della privacy e digitale
Quanta libertà siamo disposti a cedere in cambio di più efficienza? Ma soprattutto quanto è giusto cederne? Il fine giustifica i mezzi? È sostenibile che quello che è tecnologicamente possibile debba considerarsi anche giuridicamente lecito e democraticamente sostenibile? Sono queste alcune delle domande che alcune notizie rimbalzate in settimana attorno alle cose della privacy impongono di porci. Durante l’ultima sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, la Special Rapporteur per la promozione e la protezione dei diritti umani nella lotta al terrorismo, Fionnuala Ní Aoláin, ha denunciato un allarmante aumento dell’uso di “tecnologie invasive ad alto rischio”.
Tra queste ci sono i droni, la biometria, l’Intelligenza artificiale e i programmi spia, sempre più impiegati nella lotta al terrorismo. In particolare, Ní Aoláin ha sottolineato il loro impatto sulle libertà fondamentali e sul diritto alla privacy. Il rapporto chiede un approccio nuovo, volto all’applicazione di “standard minimi di diritti umani” nello sviluppo, nell’uso e nel trasferimento di tecnologie di sorveglianza ad alto rischio. E questo sia da parte dei governi che delle aziende.
E non è diverso il tema, con i distinguo del caso, che solleva una notizia che rimbalza dalla Svizzera. Le ferrovie elvetiche hanno deciso di fare marcia indietro sui sensori aumentati per analizzare il flusso delle persone nelle stazioni in base all’età, all’altezza e al sesso, nonché sulle telecamere dotate di un software di riconoscimento facciale o, almeno, di soprassedere dall’idea di un’immediata adozione di queste tecnologie. Dopo un’accesa polemica, la direzione delle ferrovie ha concluso che queste forme di controllo probabilmente non sono necessarie per misurare il numero di passeggeri. L’affidamento del contratto per l’installazione di questi sistemi verrà quindi posticipato, mentre le offerte già ricevute saranno subordinate a una valutazione dell’impatto sulla protezione dei dati personali; dopodiché la scelta effettuata verrà sottoposta all’Incaricato federale per la protezione dei dati personali.
E anche in Spagna si discute sull’impiego del riconoscimento facciale. Aena ha già testato questa tecnologia negli aeroporti, Renfe vorrebbe applicarla per identificare i “graffitari” o i passeggeri sprovvisti di biglietto, così come Transports Metropilitans de Barcelona nelle sue stazioni della metropolitana. Anche gli stadi di calcio vorrebbero sperimentare, nonché alcune aziende nel campo della grande distribuzione. Ma non sempre tutto va liscio, così come testimoniato dal caso di Mercadona, società sanzionata per 2,5 milioni di euro dall’Autorità garante spagnola per aver installato un sistema di riconoscimento facciale nei suoi negozi. In Israele, invece, nel bersaglio dei difensori della privacy e dei diritti è finita la tecnologia Pegasus, già al centro di denunce e inchieste in tutta Europa, utilizzata dalla polizia per l’hacking dei telefoni cellulari. Il vice procuratore generale Amit Merari è stato chiamato a risponderne davanti alla Knesset, in una sessione voluta da alcuni deputati dell’opposizione.
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