L’analisi settimanale, curata dalla startup innovativa Storyword, sui temi che hanno tenuto banco sulla stampa estera durante la settimana appena trascorsa
L’allontanamento di Facebook dalle notizie, la tanto contestata spunta blu di Twitter, la chiusura di BuzzFeed News, i tagli a Insider e i tormenti di Vice. Secondo Max Tani di Semafor, si tratta di alcuni segnali della fine del social web, che ha definito gli ultimi dieci anni per i consumatori di notizie. E la nuova era dei media digitali potrebbe essere molto simile a una precedente, caratterizzata dal traffico sulla homepage, blog e newsletter di nicchia. “Gli anni 2010 sono stati una deviazione, non un nuovo percorso”, ha affermato il caporedattore di Slate, Hillary Frey. Diversi editori hanno notato che i lettori non trovano più gli articoli su Facebook o Twitter e di conseguenza vanno direttamente alla homepage. Fa scuola il caso HuffPost, sempre meno dipendente dalle piattaforme social: il sito liberale è ancora una volta redditizio grazie al traffico sulla homepage e alla volontà degli inserzionisti di supportare alcuni dei suoi contenuti. Curioso notare che Jonah Peretti, CEO di BuzzFeed (proprietaria di HuffPost), sette anni fa sosteneva che il futuro delle news fosse proprio sui social media. Oggi, Peretti attribuisce ai social una delle cause principali della chiusura di uno dei progetti giornalisticamente più interessanti degli ultimi dieci anni, BuzzFeed News. Anche Fox News, protagonista in questi giorni tra il caso Dominion e il licenziamento della star Tucker Carlson, ha visto negli ultimi mesi un importante aumento del traffico sul suo sito con il 70% dei visitatori arrivati direttamente alla homepage, senza dunque passare dalle piattaforme social. Il panorama dei media digitali oggi sembra quindi molto familiare. Tuttavia rimane sempre difficile prevedere quale potrebbe essere la prossima evoluzione, specialmente in presenza di abitudini radicate relative al consumo di notizie online. A qualcuno non dispiacerebbe se i media “ritornassero ad un’era ancora precedente”, in tal senso la prossima tappa potrebbe essere il revival dei giornali.
Una strategia out of the box
Nei suoi primi due anni da presidente, Biden ha rilasciato 54 interviste. Preso singolarmente il dato non dice nulla, ma se lo si paragona con Obama (275) e Trump (202) allora dietro quel numero si intravede una precisa strategia, ossia tenere i media a debita distanza. È una scommessa, racconta il New York Times, fatta dagli strateghi di Biden per proteggerlo da domande le cui risposte hanno spesso causato passi falsi e dure critiche. Aggirare i media tradizionali servirebbe a connettersi con il pubblico “dove si trova”, senza i filtri dei giornalisti. “Il nostro obiettivo è raggiungere il popolo americano ovunque e in qualsiasi modo, e non solo attraverso la sala riunioni o i notiziari di Washington”, ha affermato Ben LaBolt, Responsabile Comunicazione della Casa Bianca. È una strategia che si traduce in conversazioni a basso rischio con celebrità e influencer (vedi L’esercito di influencer di Biden) e brevi interazioni con giornalisti, ai quali non sempre risponde. Da quando è entrato in carica, Biden ha comunicato con il pubblico in modi diversi e ha sempre evitato di rilasciare interviste ai giornali mainstream. Dietro questa strategia mediatica potrebbe nascondersi la sempre minore influenza dei media tradizionali e l’intenzione di raggiungere un pubblico più giovane e “amico” che vive nei social media. Sarà interessante vedere i risultati di questa strategia, specialmente alla luce dell’annuncio ufficiale della candidatura alle elezioni del 2024.
Il patriottismo degli influencer ucraini
La guerra in Ucraina ha generato un processo di “de-russificazione” del Paese, al centro del quale si trova la lingua parlata dal popolo ucraino. Anche dopo l’indipendenza nel 1991, il russo è rimasto ampiamente parlato, e Mosca, dopo aver conquistato parte del territorio ucraino, ha spinto gli insegnanti a usare il russo come lingua principale. Tale invasione ha visto gli influencer ucraini abbandonare i loro cavalli di battaglia e la lingua russa per creare contenuti in ucraino a supporto dello sforzo bellico del Paese. Una mossa nobile ma, come sottolinea il New York Times, dall’impatto economico devastante: per le star dei social media, non trattare gli argomenti che le hanno rese famose e cambiare lingua potrebbe significare perdere pubblico e dunque potere contrattuale. Da un’analisi di AIR Media-Tech su 20 importanti account YouTube ucraini è emerso che il reddito complessivo di coloro che hanno cambiato lingua (perdendo migliaia di visualizzazioni) è diminuito in media del 24% nel 2022 rispetto a un anno prima. Dall’alto lato, la guerra ha dato a molti influencer (poco seguiti) un nuovo scopo e, in alcuni casi, un pubblico più ampio.