Se abbiamo guardato in massa, storditi, la miniserie inglese Adolescence è perché la storia del tredicenne Jamie Miller, accusato di aver ucciso la compagna di scuola Katie, ha punto nella carne viva la storia di chiunque di noi. E non è tanto per il crimine barbaro e, in fondo, neanche troppo per l’età acerba di Jamie: Adolescence, diventato in poche settimane un fenomeno mondiale, è un pugno in faccia perché ci fa dubitare di ciò che sappiamo dei nostri figli.
Jamie è figlio di un contesto tutt’altro che problematico: la sua è una famiglia amorevole, i genitori sono ben ingaggiati nel ruolo, la sorella maggiore sembra avere ingranato la marcia giusta verso la vita adulta. È proprio la normalità del contesto di vita in cui Jamie diventa assassino che ci toglie il fiato. Perché, se non è un adolescente chiaramente disturbato, Jamie lo ha fatto? Cosa non hanno più capito di lui, a un certo punto, il padre, la madre, e la scuola e gli adulti tutti? E se Jamie ha ucciso, lo può fare chiunque nella realtà, persino nostro figlio?
Incel, i casti non per scelta
Jamie è un ragazzino solo e un po’ introverso che diventa l’abitante minore di una galassia – la rete – affollatissima di presenze digitali, da cui i genitori adulti sono definitivamente remoti. È in una comunità tutta maschile della rete che Jamie trova risposta al caos interiore che lo angoscia, nella cosiddetta manosfera, intreccio di gruppi on line saldati dall’idea della supremazia degli uomini e dalla convinzione che le donne siano responsabili del senso di frustrazione maschile, dunque anche del suo. Nella sua ricerca identitaria, Jamie si fa risucchiare dal risentimento misogino dei gruppi Incel, ovvero i casti non per scelta, eterosessuali che incolpano le donne di privarli del sesso e delle relazioni a cui sono convinti di avere naturalmente diritto (la manosfera esiste veramente, non è fiction, ed è oggetto di studio da diversi anni). Il tredicenne ne subisce la dottrina, interiorizza piano piano i loro dogmi, assimila e si autorappresenta con il loro linguaggio in codice, trova sollievo in quelle formule numeriche che riducono a poco la complessità delle relazioni, vedi la regola 80/20: nel mondo ideologico degli incels, l’80% delle donne sceglie e ha rapporti sessuali solo con il 20% appena degli uomini, un’élite prestante e carismatica.
I giovani e la violenza di genere
Jamie è vittima di una polarizzazione senza via di scampo, dove o sei un maschio vincente o sei uno sfigato: blindato nella sua cameretta, non decifrato dallo sguardo adulto, si scolla via via dal mondo reale e, percependosi come maschio inadeguato, si radicalizza alla rabbia e all’odio misogino, che diventeranno fatali per la povera Katie. Stephen Graham, l’attore (interpreta il padre del ragazzo) e co-sceneggiatore della serie, racconta di non essersi ispirato a una storia vera per costruire Adolescence, ma che è stato molto colpito dall’aumento dei crimini contro le ragazze compiuti da maschi minorenni (in Italia, il 3% delle vittime totali di atti persecutori ha meno di 13 anni, il 7 % è nella fascia di età 14-17, numeri che fanno pensare. Quanto alla violenza sessuale, le vittime tra i 14 e i 17 anni sono passate dal 24% del 2020 al 27% del 2023. Gli autori? Per il 12% si tratta di ragazzi minorenni, tra i 14 e i 17 anni. Fonte: Direzione Centrale Polizia Criminale, rapporto I giovani e la violenza di genere).
Il merito di questa serie dei record è di aver gettato il sasso nello stagno: ha costretto il mondo adulto a identificarsi in una parte, in un sentimento, in un personaggio della storia e a guardare in faccia le questioni brucianti che gli adolescenti, questi, adesso, ci parano davanti. Adolescence interroga anzitutto i padri e la maschilità, oggi in stato confusionale, tesa tra modelli che sembrano superati e le fresche e nuove identità tutte in maturazione: chiede loro che si sentano chiamati in causa in prima persona, che si mettano in gioco nell’indagare quell’aggressività contro le donne che è diffusa, radicata e, invece, troppo facilmente viene ridotta a cronaca e riportata al gesto isolato e individuale di un violento.
Perché Jamie ci travolge?
Ma il gesto di Jamie interroga chiunque tocchi quotidianamente la materia incandescente degli adolescenti: interroga la scuola, certo, spaventata e vecchia davanti all’enigma di una generazione che non si lascia decifrare, ma interroga soprattutto i genitori che improvvisamente, con gli occhi su Adolescence, temono di essere seduti su rovine. Gli psicologi dell’adolescenza spiegano che si sbaglia mira se si getta la colpa addosso ai social, esaurendola lì: i social sono la ragnatela perversa che sono, ma non rappresentano la causa diretta. È a noi genitori che questa serie ipnotica pone domande, a noi adulti preparati, partecipi, che abbiamo strumenti per capire – così ci sembra – e ottime intenzioni. Noi che abbiamo figlie o figli spesso unici, molto amati, sempre pensati.
E allora, perché Jamie – che pure è fiction – ci travolge? Ci travolge perché Jamie, nel gesto esplosivo che compie, ci spara in faccia le verità che ci disturbano. Ovvero che le emozioni potenti e scure che attraversano i nostri figli ci spaventano e contiamo che le risolvano con lo psicologo, invece che accettarle noi per primi, o forse intuiamo che le nostre enormi aspettative e il sogno onnipotente di realizzare se stessi che abbiamo consegnato loro sta finendo per fregarli: se mio padre e mia madre non mi amano per quello che sono, se non divento tutto quello che si aspettano da me – sembrano dirci – tanto vale, allora, diventare niente. Fino all’arrivo di Adolescence, abbiamo creduto che la formula educativa a cui ci siamo appoggiati ci bastasse, e ci siamo accontentati di tirare avanti, illudendoci di non sapere, sperando di non vedere, augurandoci che non toccasse a noi. Perché alla fine la vita va avanti, loro crescono e tutto poi passa, se passa.