Il quotidiano di Vittorio Feltri ha titolato a tutta pagina: “I maniaci del videogioco vanno curati in clinica”. A StartupItalia! la replica di Marco Accordi Rickards (Vigamus): “Si parla tanto di fake news, ma in pochi si scandalizzano per la disinformazione e la ghettizzazione di cui è oggetto il videogame”
Non ha mancato di suscitare polemiche sul Web l’ultimo articolo spigoloso e provocatorio di Libero, la testata fondata e diretta da Vittorio Feltri. Sotto accusa il pezzo della collega Costanza Cavalli, finito in pagina sormontato da caratteri cubitali studiati appositamente per fare scoppiare la rissa virtuale (e così infatti è stato): “I maniaci del videogioco vanno curati in clinica”.
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Libero: “Assumono droghe, alcol e ogni tanto ammazzano pure la gente”
A rincarare la dose catenaccio e occhiello: “Passano la vita davanti alla consolle: secondo gli esperti, sviluppano una dipendenza come quella da cocaina” e “Ci sono quelli che perdono il senso della realtà, altri rovinano il matrimonio. E qualcuno si trasforma in killer“. Il riferimento è alla recente strage di Jacksonville, in cui un 24enne armato ha ammazzato tre persone proprio durante un torneo di videogiochi.
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L’autrice dell’articolo, dopo aver riportato i dati relativi al fenomeno (quello senz’altro reale) della dipendenza da un hobby che, al pari di tanti altri passatempi può subire storture e devianze, compie frettolosamente il passaggio logico successivo, attribuendo ai videogiochi la responsabilità di simili accadimenti delittuosi: “La strage di Jacksonville – si legge su Libero – ha gettato nuova luce su questa malattia: da una parte, nelle mani del malato, il videogame entra nella realtà e fa danni mortali, dimostrando di non avere più niente di virtuale. Dall’altra, se una volta il gioco serviva per sfogare la tensione, ora la genera, il giocatore la scambia per eccitazione e genera la dipendenza: siamo talmente annoiati che anche il videogame diventa una specie dinamo che carica di aggressività chi ci gioca”.
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Una tesi non supportata né da dati né da studi scientifici e che non viene nemmeno riequilibrata, per esempio, dando spazio a un rappresentante di queste community che, anzi, vengono volutamente presentate ai lettori del quotidiano Libero in modo distorto e grottesco: “Assumono droghe, alcol, non si alzano neppure per andare in bagno e si dimenticano di badare ai figli. E ogni tanto, ammazzano pure la gente. Sono i malati di dipendenza da videogiochi […] . I giocatori si travestono,interpretano un personaggio, mangiano cibo in scatola come se fossero in guerra, non si lavano per giorni, si sparano con armifinte, vengono inseguiti da attorigiocatori travestiti da zombie, a volte lo diventano anche loro, e i ruoli si mischiano e si confondono”.
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Immagine distorta senza cautele
Se di patologia si tratta, perché la ludopatia – o ‘gaming disorder’ – è stata dichiarata ufficialmente malattia mentale dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nell’aggiornamento dell’International classification of diseases (Icd) lo scorso giugno, forse non si è proceduto alla redazione dell’articolo pubblicato su Libero con la dovuta cautela. Forse si è fatto un calderone in cui sono state gettate troppe situazioni profondamente differenti, danneggiando l’immagine non solo del videogioco in quanto tale (un medium, ovvero un mezzo attraverso cui veicolare emozioni, come la musica, i dipinti e i film), ma anche di tutti i videogiocatori.
Analizzando i fatti di Jacksonville, bisognerebbe chiedersi se ad armare la mano di chi ha agito siano state le software house e i loro videogame bellici, l’agonismo del torneo videoludico, oppure la facilità con cui negli USA è possibile rinvenire pistole e fucili in vendita persino nei supermercati e, a monte, se non ci sia il disagio sociale patito soprattutto dagli adolescenti, come i dati sulle frequenti stragi scolastiche parrebbero dimostrare.
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Come hanno reagito i videogiocatori
Inutile dire che la reazione della comunità italiana all’articolo di Libero è stata immediata e, in alcuni casi, persino feroce. Come si può vedere dai messaggi riportati in questo articolo, molti hanno preferito replicare in modo sarcastico, altri polemizzando a loro volta con la testata, altri ancora hanno scelto la via dell’insulto becero e gratuito. C’è anche qualcuno che si è lasciato persuadere dalla tesi sposata da Libero e avanza i propri dubbi sulle responsabilità dei videogiochi almeno nei casi più delicati. Pochi, per la verità, ma vanno comunque ricordati. Insomma, la confusione, sui social, è davvero molta. Forse confondere ulteriormente le idee, instillare il germe del dubbio, era proprio l’intento di un simile pezzo, studiato appositamente per pungolare nel vivo una intera categoria.
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La replica di Marco Accordi Rickards
Abbiamo allora chiesto un parere in merito a Marco Accordi Rickards, giornalista, docente universitario e critico videoludico, nonché Direttore di VIGAMUS, il Museo del Videogioco di Roma e di VIGAMUS Academy, programma universitario per sviluppatori di videogame della Link Campus University, che aveva già risposto all’articolo di Libero con un editoriale pubblicato sulla testata di settore GamesVillage.it.
“La dipendenza da videogiochi è una patologia recentemente riconosciuta dall’OMS – ricorda Marco Accordi Rickards – Ciò non significa tuttavia che il videogioco in sé sia un oggetto da demonizzare, come l’alcol durante il Proibizionismo. Non è stata dimostrata infatti nessuna correlazione tra episodi di violenza e videogiochi, anzi, si è osservato che, con l’aumentare della vendita di videogiochi, in America è diminuito il numero di delitti con arma da fuoco [v. Violent Video Games and Real – World Violence: Rhetoric Versus Data – Videogiochi violenti e violenza nel mondo vero: retorica contro dati ndR]. Il link videogioco-violenza è stato peraltro ripetutamente sconfessato. In generale, si tratta di un argomento che è oggetto di studi costanti, su cui non ci si può ancora esprimere in maniera definitiva senza rischiare di essere approssimativi, né da una parte né dall’altra. Per questo motivo, ogni affermazione che lega la violenza ai videogiochi non ha basi scientifiche certe, ma è frutto della paura di qualcosa che non si conosce”.
Rapporto vendita vg / Assalti armati tratto da: Vg violenti e violenza nel mondo vero: retorica contro dati in Psychology of Popular Media Culture
Quindi conclude: “Dobbiamo lasciare agli studiosi il compito di darci una risposta seria e definitiva, nel frattempo vale la frase: osservare un albero dai suoi frutti. Il videogioco, come lo sport, unisce ragazze e ragazzi da tutto il mondo, che si conoscono, si divertono e creano legami che possono durare una vita intera. È oggetto di studio, veicolo di visioni e creatività. Le demonizzazioni nascono sempre dall’ignorare cosa sia davvero un videogioco”.
L’impegno quotidiano di Vigamus
“Attraverso VIGAMUS – spiega il Direttore della Fondazione e della Academy per sviluppatori – celebriamo ogni giorno il videogioco in qualità di mezzo di espressione del pensiero umano; anche le nostre pubblicazioni, accademiche ed editoriali, fanno informazione in questo senso, esplorando lati del medium solitamente passati sotto silenzio. Raccontando la sua storia, il suo valore, il suo significato, crediamo fermamente di poter combattere le demonizzazioni. Ignorare la natura del videogioco d’altronde genera mostri, che possono essere sconfitti solo tramite l’informazione e la divulgazione di idee positive. I nostri eventi hanno lo scopo di riunire le persone e celebrare icone e ricorrenze, creando un clima positivo che combatte la disinformazione e aggrega persone convinte della positività del videogioco. Alla luce dei fatti di Jacksonville, stiamo sicuramente pensando a eventi e dibattiti che possano sensibilizzare il pubblico riguardo a queste problematiche, con l’ausilio di esperti esterni al settore gaming che possano dare un parere autorevole”.
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“Teniamo fuori i videogiochi dalle stragi”
E come interpreta i fatti di Jacksonville chi, come Marco Accordi Rickards, per lavoro e professione studia e gioca ai videogiochi da una vita? “Quella di Jacksonville è un’immane tragedia. E su questo credo che possiamo essere tutti d’accordo. Ma non si uccide a sangue freddo perché si ha perso una partita a un videogioco. Esiste tutto un contesto a macro e micro livello che ha influenzato la mentalità del killer, spingendolo a compiere quel gesto insensato. In altre parole, il seme della violenza e dell’orrore era già ben radicato in quel giovane, secondo me. Bisogna interrogarci su cosa succede nelle scuole, nelle università, in famiglia. Il disagio psichico va identificato, circoscritto, ascoltando e aiutando le persone che ne soffrono”.
“La solitudine e l’isolamento – puntualizza il docente – sono due dei mali più pericolosi del nostro tempo e, se a questo uniamo il fatto che la moralità sta diventando un concetto sempre più sfumato, quella che ci troviamo di fronte è una vera e propria polveriera in attesa di una scintilla che la faccia deflagrare. Tuttavia, la battaglia contro la violenza non si vince con il sensazionalismo e i titoli acchiappaclick. Si vince indagando nel profondo, per scoprire qual è il vero motivo dietro il malessere che affligge la nostra società. I videogiochi? Teniamoli fuori da questo discorso, per favore”.
“Quando le fake news demonizzano i videogame”
“Il grande pubblico – chiosa – ignora che possa esistere un‘esperienza interattiva come That Dragon, Cancer, opera che racconta una tragedia vera vissuta dagli autori, la perdita di un figlio malato di cancro. L’esistenza di opere dal taglio così drammatico, è la dimostrazione che il videogioco oggi è un oggetto polimorfo, dalle complessissime sfaccettature. Oggi si parla tanto di fake news, ma in pochi si scandalizzano di fronte alla disinformazione e alla ghettizzazione di cui è oggetto il videogioco. A coloro che hanno additato il gaming come responsabile della strage di Jacksonville, consiglierei di affrontare un’opera come That Dragon, Cancer, e analizzare la propria reazione. Sono sicuro che assisteremmo a molte epifanie da parte di tanti adepti del sensazionalismo”.