A ostacolare l’applicazione di regole comuni su barriere geografiche e copyright europeo le resistenze delle lobby e degli Stati membri ad accettare una legislazione uniforme
Il principale ostacolo al mercato digitale unico in Europa? Il fatto che non esiste un’Europa veramente unita. Almeno dal punto di vista delle regole. È difficile, cioè, convincere tutti gli Stati membri ad accordarsi su indicazioni comuni che snelliscano procedure e burocrazia. In realtà, quello che potrebbe ostacolare l’applicazione delle ultime proposte della Commissione europea sul mercato digitale è la stessa cosa che ferma altre iniziative legislative nel vecchio continente.
Barriere sì, barriere no. Il problema è che ognuno ha le sue
Ma veniamo al dettaglio. Leonid Bershidsky su Bloomberg ha provato ad analizzare ogni punto del progetto di legge europeo e ha messo in evidenza cosa non va in ogni disposizione. Per prima la proposta di eliminare le barriere geografiche all’ecommerce. La varietà nelle legislazioni nazionali sul trasporto, sulle tasse, sulla consegna dei beni rende oggi impossibile livellare i prezzi dei prodotti su internet. In più, in alcuni casi i siti di vendite online rendono inaccessibili alcuni articoli all’acquisto per gli utenti di alcuni Paesi: secondo i dati europei il 63 per cento dei siti blocca gli acquisti. Per risolvere questo problema la Commissione europea ha proposto di mettere fine al cosiddetto “geoblocking”: i clienti dovranno avere la libertà di consultare tutte le offerte disponibili in rete senza restrizioni geografiche. Da parte sua il rivenditore non avrà l’obbligo di occuparsi della spedizione, lasciando così la libera scelta (e il costo della consegna) all’acquirente.
Se da un lato questa iniziativa potrebbe sembrare pensata per evitare che agli utenti vengano addebitati costi eccessivi per la spedizione di oggetti che logisticamente possono raggiungere anche in autonomia, dall’altro rischia di rallentare i meccanismi di ecommerce, riportando il processo a un’era pre-digitale. A questo proposito ha reagito anche l’organizzazione dell’ecommerce europeo (Emota) che ha formulato tutte le sue raccomandazioni alla Commissione. Tra le altre cose gli operatori del settore vorrebbero evitare di vedersi imposti dei comportamenti commerciali.
Le lobby contro il copyright europeo
Le barriere geografiche spesso valgono anche per i video di You Tube e quelli di Netflix. E così non è raro che gli utenti si trovino davanti a uno schermo nero perché quel contenuto non è visibile in alcuni Paesi. Questo problema è legato al pagamento dei diritti nelle singole nazioni. In realtà, però, dalle ultime proposte europee mancano delle indicazioni sulla questione copyright. Molti dei soggetti che vendono i contenuti ai vari Paesi non guadagnerebbero molto in presenza di un’unica licenza europea per i diritti d’autore. E questo mentre in Paesi come l’Italia è vivo il dibattito sull’adeguamento della legge nazionale alla direttiva europea per l’abbattimento dei monopoli. E alcuni artisti come Fedez e Gigi D’Alessio hanno già deciso di uscire dalla galassia Siae. Gli interessi delle lobby del settore sono quindi difficili da superare per l’Unione Europea che nel frattempo preferisce rimandare il problema. L’unica cosa che la Commissione è riuscita ad inserire nelle nuove proposte riguarda il 20 per cento di contenuti europei da prevedere nei cataloghi di piattaforme video come Amazon e Netflix. E da molti questa regola viene considerata assolutamente priva di senso.
Ma gli Stati membri non accettano misure comuni
La verità è che per arrivare a un vero mercato digitale unico in Europa si dovrebbe partire da molto più lontano: un unico sistema di tariffe postali, per esempio, un copyright europeo, o un’imposta sul valore aggiunta uguale per tutti gli Stati membri. Il limite, però, sta nella riluttanza delle varie nazioni ad accettare misure comuni così da riuscire a superare il concorrente americano. Fino ad allora i 500 milioni di potenziali clienti europei non riusciranno a fare dell’Europa il principale mercato mondiale.