Negli Stati Uniti la risposta dell’ufficio che se ne occupa è: dipende. E da noi? Per la giornata sul diritto d’autore lo abbiamo chiesto a due esperti che spiegano che servono presto nuove regole e un rinnovamento dei ruoli autoriali
Le opere dell’ingegno realizzate con l’ausilio di un qualche sistema di intelligenza artificiale possono essere protette dal diritto d’autore? Intendendo in questo caso la formula sia all’europea che alla statunitense (secondo l’accezione, in parte differente, di copyright). La risposta è: dipende. Almeno è quella fornita dall’U.S. Copyright Office, che qualche giorno fa ha pubblicato delle linee guida secondo le quali l’attribuzione della proprietà di un’opera e dunque della sua protezione dallo sfruttamento indebito, quando quest’opera è realizzata con piattaforme generative come Dall-E 2 di OpenAI o le varie implementazioni di GPT-4, dev’essere esaminata caso per caso.
Le illustrazioni utilizzate in questo articolo, compresa quella d’apertura, sono state realizzate tramite dall’IA
“L’Ufficio valuterà se i contributi AI sono il risultato di una ‘riproduzione meccanica’ o invece della ‘concezione mentale’ originale di un autore, a cui [l’autore] ha dato una forma visibile” ha spiegato, tentando di entrare più mel dettaglio, Shira Perlmutter, avvocata e direttrice dell’agenzia federale. In pratica, almeno per il momento, il riconoscimento di tutela dipenderà da come l’autore umano impiegherà l’intelligenza artificiale per produrre il contenuto di cui intende registrare il diritto di copia (o d’autore, sempre tenendo presente la distinzione fra ordinamenti di “common law” e “civil law”). Se un utente-autore dovesse “selezionare o riorganizzare il materiale prodotto dall’intelligenza artificiale in modo sufficientemente creativo” tale da dare vita a una nuova opera originale basata in gran parte sulle idee dell’autore, allora quel lavoro potrebbe essere registrato. In definitiva, “ciò che conta è la misura in cui l’essere umano ha avuto il controllo creativo sull’espressione dell’opera” ha aggiunto Perlmutter.
Rocco Panetta
Panetta: “Non dimenticare originalità e novità”
Nonostante questi chiarimenti, rimane tutto molto complesso. Si tratta d’altronde di un territorio del tutto vergine per le normative sul copyright sul quale però le autorità sono chiamate a intervenire e in modo anche piuttosto rapido. “La risposta della U.S. Copyright Office non sorprende, è anzi la risposta che qualsiasi giurista dà di fronte a un qualsiasi problema giuridico: dipende – spiega a StartupItalia l’avvocato Rocco Panetta, riconosciuto a livello nazionale e internazionale tra i massimi esperti di diritto delle nuove tecnologie e della data economy – e con l’AI è davvero il caso di dirlo. Il diritto d’autore, per essere riconosciuto, deve avere due elementi: l’originalità e la novità. Sembrerebbe dunque che, anche in questo caso, si voglia applicare lo stesso principio: a quanto ammonta l’elemento creativo nell’opera finale? Se l’output è tutto o in gran parte sull’AI, i diritti garantiti dal copyright non sono riconosciuti. Un esempio potrebbe essere il risultato di tale richiesta all’AI: ‘disegna una casa al mare come lo farebbe Picasso’. In questo caso bisognerebbe capire piuttosto se spetta un diritto d’autore agli eredi del noto pittore spagnolo. Diverso è il caso se si chieda alla AI di generare dapprima una casa al mare, e poi si proceda modificando un elemento alla volta, cambiando l’impostazione delle luci, dei colori, che permetta, pur delegando le operazioni all’AI, di arrivare al risultato ricercato dall’autore. Potremmo vedere questa come una evoluzione di un software per creare opere digitali”.
Il ruolo del “prompt designer”
Il punto è ben chiaro anche a chi ci lavora, con i modelli complessi di AI generativa come indigo.ai, una società milanese parte del gruppo Vedrai che offre una piattaforma SaaS completamente “no code” con cui realizzare chatbot o voicebot di nuova generazione personalizzati per rispondere alle specifiche esigenze delle aziende. Enrico Bertino, chief AI office e co-fondatore, mette per esempio in evidenza un aspetto centrale: la qualità del prompt, cioè della richiesta che viene posta a questi sistemi: “Ad oggi il prodotto della generazione artificiale non è considerato come creazione originale protetta da copyright, anche perché le leggi sui diritti d’autore valgono solo quando l’autore del prodotto è umano – dice a StartupItalia Bertino – tuttavia questa domanda è interessante perché mette il focus sulla sinergia che indubbiamente c’è tra un’AI generativa e l’umano, in questo caso prompter. Quanto sono importanti i prompt per l’esecuzione della generazione e la performance dell’AI nell’ottenimento del risultato desiderato? A mio parere, dato un modello con dei buoni benchmark, la qualità del prompt è ciò che rende la generazione unica. Una sorta di direzione artistica. Il prompt è una parte fondamentale e fondante della generazione e proteggere questo tipo di autorialità, che comunque richiede una conoscenza estesa del modello, una creatività e un’idea alla base, diventerà indispensabile. Soprattutto perché sempre più professionisti incorporeranno le AI generative nella propria routine di lavoro”.
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La normativa europea già superata
Le agenzie regolatorie dovranno presto dire la loro. Almeno per un primo inquadramento di questo nuovo ambito che promette di incidere in profondità sia dal lato autorale che da quello, che vedremo fra poco, dei dataset sui quali questi sistemi vengono addestrati. In Europa, per esempio, nonostante il recente aggiornamento delle norme sul diritto d’autore rischia di apparire già superato: ”L’Europa ha aggiornato le sue norme sul diritto d’autore proprio qualche anno fa, nel 2019, quando ancora non si parlava troppo di AI o quanto meno non ne potevamo sperimentare le capacità con la facilità di oggi – aggiunge Panetta – la direttiva ha dunque regolato più il passato, e quindi l’uso dei social media, la circolazione di materiale protetto dal diritto d’autore online senza permesso ma non si è curata troppo del futuro. Restano validi, comunque, i principi che citavo prima, la novità e l’originalità e quindi, in attesa di nuovi aggiornamenti normativi, si procederà sicuramente valutando caso per caso. Dobbiamo da ultimo ricordare che il diritto d’autore nasce per tutelare lo sforzo creativo e l’’investimento’ dell’autore e di tutta la catena di persone coinvolte nell’industria culturale come produttori, interpreti e così via. Non applicare quei principi permetterebbe di riconoscere questi diritti, inclusi quelli economici, a chi autore non era fino a qualche giorno fa, inondando il mercato di opere che non avrebbero il valore che fino a oggi si è voluto tutelare”.
L’altro lato dell’AI
Rimane poi da affrontare l’altro lato del fronte: la tutela della sterminata mole di materiali sui quali le intelligenze artificiali vengono addestrate prima di essere lanciate sul mercato e poi a seguire. Adobe, ad esempio, ha appena introdotto Firefly, una nuova famiglia di modelli focalizzati sulla creazione di immagini ed effetti di testo integrata in Creative Cloud, Document Cloud, Experience Cloud e Adobe Express, fra cui Photoshop e Illustrator. Questi modelli saranno allenati su immagini di Adobe Stock, poi su contenuti con licenza aperta e su altri materiali di dominio pubblico con copyright scaduto, dando quindi vita a nuove immagini utili per essere usate in chiave commerciale e senza approfittare del lavoro altrui per consentire ad altri di lucrarci. In più, il gruppo sta sviluppando un modello di remunerazione per i contributor di Adobe Stock: “Da un lato l’addestramento di modelli di intelligenza artificiale su larga scala, utilizzando il web come fonte di dati, ha dimostrato di essere efficace nell’ottenimento di risultati sorprendenti in molte applicazioni – aggiunge Bertino sul punto – penso, per esempio, a ChatGPT che è stato addestrato sul dataset Common Crawl, che consta di praticamente tutti i testi presenti sul web e quindi creati dagli esseri umani, con o senza diritti associati. Tuttavia, nel caso del chatbot, anche se sembra si tratti di plagio, dal punto di vista delle leggi sulla proprietà intellettuale il risultato viene considerato come ‘nuove generazioni testuali’. È per questo che le generazioni di testo non includono citazioni o indirizzi IP del materiale che usano, perché non sono semplice ‘copia-incolla’ ma emulano una persona che studia un testo e ne scrive un altro ispirandosi al precedente. Dall’altro lato, l’uso di database chiusi e liberi da copyright, come quello utilizzato per Firefly, può ridurre il rischio di violazione del diritto d’autore ma limita anche la quantità e la varietà dei dati disponibili per l’addestramento”.
Quindi come se ne esce? Forse con una via di mezzo: “A mio parere, il futuro delle intelligenze artificiali dipenderà probabilmente dall’equilibrio tra queste due approcci, per esempio avendo una ‘whitelist’ di siti e dati che non possono essere usati per l’addestramento di modelli che siano testi, immagini o qualunque altra modalità. C’è poi necessità di una revisione dell’apparato giuridico che oltre a regolare l’AI in generale deve stabilire delle leggi chiare in merito al copyright e alle generazioni artificiali, tenendo conto anche dell’attività del prompting. In generale, il futuro delle intelligenze artificiali dipenderà dalla capacità di gestire e bilanciare i benefici dell’accesso aperto ai dati con la necessità di proteggere i diritti di proprietà intellettuale e rispettare la privacy delle persone”.
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Insomma, chi lavora con la creatività, intesa in tutti i sensi dall’informatica alla grafica, è stretto fra due fuochi: non sa se aspettarsi la progressiva scomparsa del proprio impiego o un aiuto muscolare da saper però governare: e a cui serviranno inedite garanzie normative “Dipende da come decidiamo di usare gli strumenti AI a nostra disposizione – conclude Bertino – è molto facile proiettare sulle AI pensieri dicotomici, l’AI ci sostituirà o non ci sostituirà, il che è comprensibile poiché sono strumenti nuovi e ancora poco conosciuti. Vero è però che rimangono strumenti. È uscito uno studio in cui vengono confrontate le idee generate da umani con quelle generate da sei AI generative. Non si trovano differenze qualitative tra la creatività dei due soggetti presi in esame, umani ed AI. Questo che cosa vuol dire? Che le AI possono essere creative, tanto quanto gli esseri umani e se si sa come utilizzarle possono essere degli assistenti sorprendentemente preziosi nel processo creativo. Da un certo punto di vista si può dire che le AI generative rendono alcuni aspetti del processo creativo come ‘più accessibili’, esattamente come la fotografia digitale ha reso quest’arte molto più ‘democratica’, ora una persona che non sa disegnare ha uno strumento per rappresentare le proprie idee, senza dover essere dotato nel disegno, utilizzando per esempio Mid-journey. Rimanendo nell’esempio della generazione di immagini: se è vero che l’AI rende più accessibile l’espressione attraverso immagine è anche vero che quel genio creativo artistico, che si riconosce negli artisti, non è riproponibile tramite prompting da qualsiasi utente. Il genio creativo rimane tale”. In conclusione, più che parlare di sostituzione di interi ruoli o mestieri bisognerebbe parlare, secondo Bertino, di “automatizzazione di attività contenute. Questo aumenterà l’efficienza e la produttività e quindi potrebbe diminuire la richiesta di persone per un dato ruolo. Comunque bisogna ricordarsi che vi saranno anche lavori nuovi: una ricerca interessante ci dice che l’85% delle professioni che esisteranno nel 2030 non è stato ancora inventato”.
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Le illustrazioni utilizzate in questo articolo, compresa quella d’apertura, sono state realizzate tramite Dall-e 2 di OpenAI con il seguente prompt: “Copyright and creativity at high risk because of artificial intelligence systems diffusion”