Nel 2018 fonda Still I Rise, una no profit per garantire il diritto scolastico ai bambini in aree difficili del pianeta. Proposto al Nobel per la pace, oggi gestisce scuole internazionali gratuite: «Siamo cresciuti senza accettare fondi istituzionali»
Nei prossimi giorni suonerà la prima campanella e milioni di studenti torneranno in classe. Un appuntamento forse non gradito da tutti gli alunni ma che è comunque col futuro. StartupItalia seguirà l’inizio del nuovo anno scolastico con una serie di interviste e approfondimenti sul mondo della scuola. Ospiteremo guest post, converseremo con docenti, dirigenti, educatori ed ex politici del dicastero della Pubblica Istruzione per capire quali sono le cose indispensabili da mettere in cartella per affrontare il futuro a testa alta e senza paura.
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Fosse per lui, Nicolò Govoni farebbe come Mina, ritirandosi del tutto dalla scena pubblica. «Può sembrare strano, ma ammiro la sua scelta, è un modello di riferimento. In più, anch’io, come lei, sono di Cremona». Eppure, a guardarla da fuori, la vita del trentenne fondatore della onlus Still I Rise sembra dire l’opposto.
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Dieci anni fa, parte per il suo primo viaggio di volontariato in un villaggio in India. Resta nel Paese quattro anni, nel frattempo si laurea in giornalismo alla Symbiosis International University. Nel 2017 inizia a lavorare per Samos Volunteers, un’organizzazione non governativa nell’hotspot per i migranti sull’isola greca. “Tra le sue colline sorge un campo profughi dove 4000 esseri umani sono imprigionati in una struttura costruita per 650. A Samos, negli occhi dei bambini la speranza non c’era più”, scriveva il volontario italiano nel 2020.
L’orrore visto all’interno del campo greco, le persone stipate in condizioni disumane e abbandonate al loro destino e le responsabilità delle istituzioni greche ed europee lo spingono a maggio del 2018 a fare il passo più importante della sua vita: fondare Still I Rise, un’organizzazione umanitaria in grado di offrire istruzione di qualità a bambini e ragazzi vulnerabili in alcune delle aree più complesse del pianeta, operando in maniera indipendente e trasparente a livello politico ed economico.
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Il nome, racconta Govoni, deriva dal titolo dalla poesia And Still I Rise dell’autrice statunitense Maya Angelou. «Stavo cercando qualcosa che definisse l’identità del nostro progetto e ho letto per la prima volta questo testo», racconta Govoni. «Non ho avuto dubbi: era perfetto». Sono sette i soci fondatori della no profit, oltre al ceo, grazie ai quali tutto è nato: Giulia Cicoli, Sarah Ruzek, Riccardo Geminiani, Manuela Mascia, Patrizia Ghisetti, Emanuela Di Filippo, Giovanni Marino.
A Samos, ad agosto del 2018, Still I Rise avvia Mazí, la sua prima scuola di emergenza, chiusa lo scorso anno a seguito dell’apertura, a settembre del 2021, di un nuovo hotspot sull’isola. Anche in questo caso i migranti, segnala Medici Senza Frontiere, sono costretti a vivere in condizioni di prigionia.
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Con il trasferimento nel nuovo campo, spiega l’associazione, il numero di nuovi studenti è molto diminuito e quelli rimasti sono stati iscritti alla scuola pubblica in vari Paesi europei, a seguito del processo di ricollocamento. Still I Rise, sottolinea Govoni, segue due approcci. «Da un lato, fonda e gestisce scuole di emergenza temporanee per fornire servizi educativi essenziali in territori e contesti di grande volatilità, dove la sfida quotidiana è riuscire a sopravvivere». È il caso delle missioni ad Al Dana, a 40 chilometri da Idlib, nel nord ovest della Siria, area martoriata dalla guerra e dai terremoti, e a Kolwezi, nel sud della Repubblica Democratica del Congo, dove vengono accolti i bambini costretti a lavorare nelle miniere.
«Ci sono poi le scuole internazionali, di cui siamo fieri. Siamo la prima organizzazione al mondo a offrire gratuitamente ai bambini profughi la possibilità di conseguire l’international baccalaureate, seguendo un percorso di sette otto anni che ha inizio tra i nove e gli 11 anni e darà la possibilità ai ragazzi di entrare nelle migliori università internazionali». Still I Rise ha aperto a Nairobi, in Kenya a dicembre del 2020, ristrutturando una scuola abbandonata che oggi ospita 180 alunni. Qui Govoni vive e insegna scrittura creativa, una delle tante materie affidate a un gruppo di insegnanti, quasi tutti kenioti. Ed è proprio dalla scuola che si collega per rispondere alle domande di StartupItalia.
Altri due centri sorgeranno invece a Bogotà, in Colombia, e in India entro il prossimo anno. A cinque anni dalla nascita, l’organizzazione guidata da Govoni, composta da 100 dipendenti e quasi 400 volontari, ha coinvolto oltre 20mila bambini nei suoi programmi educativi e vuole raggiungere i 50mila nel prossimo decennio. «Lo scorso anno abbiamo raccolto circa 2,2 milioni di euro, una somma raggiunta perlopiù tramite piccole donazioni una tantum: l’importo medio è di 39 euro. L’obiettivo per il 2023 è chiudere a poco meno di tre milioni», commenta Govoni, proposto nel 2020 per il premio Nobel per la pace da Sara Conti, esponente politica della Repubblica di San Marino. Quest’anno il Titano, su proposta della stessa Conti e dell’ex capitano reggente Giuseppe Maria Morganti, ha invece suggerito Still I Rise come candidato al riconoscimento.
Quale sarà il futuro dei ragazzi una volta usciti dalle vostre scuole?
È impossibile valutare ora l’impatto dell’istruzione di Still I Rise sui nostri studenti. Nessun alunno delle tre scuole aperte ha terminato il suo percorso di studi. In Kenya, le prime classi si diplomeranno nel 2027/28 e stiamo lavorando per istituire partnership con atenei di tutto il mondo per distribuire borse di studio. Una prima collaborazione riguarderà il Jesus College di Oxford. L’unico caso osservabile è quello della scuola di emergenza in Grecia, progetto concluso l’anno scorso. Quei ragazzi oggi proseguono con i programmi di istruzione in diversi Paesi europei, dopo essere stati ricollocati. Non è quindi un merito dell’organizzazione, ma l’esito della procedura di ricollocazione.
Alla base di Still I Rise c’è l’indipendenza: nessun fondo preso da partiti e governi, nessun legame. I rapporti le istituzioni dei vari Paesi, però, sono necessari per operare. Dov’è il giusto equilibrio?
Ogni gesto pubblico che si compie è un atto politico, in particolar modo nel campo umanitario. In Still I Rise lavorano persone con ideali e pareri molto diversi e questa è una nostra forza: sintetizziamo le nostre differenze in un approccio neutrale nei confronti delle istituzioni, con l’obbligo di non scendere mai a compromessi che comportino dipendenza economica.
Rinunciando però anche a importanti sovvenzioni statali ed europee.
Accettare denaro proveniente da istituzioni avrebbe snaturato l’identità della nostra organizzazione, soprattutto nelle fasi iniziali, quando Still I Rise era ancora una piccola realtà che faticava a camminare con le proprie gambe.
Perché?
Rispondo facendo un esempio, la nostra scuola in Kenya. Se avessimo preso fondi istituzionali, non avremmo mai potuto aprire una scuola internazionale accreditata per l’IB, per un motivo pratico: l’agenda 2030 delle Nazioni Unite ha fra gli obiettivi l’inserimento dei bambini migranti nel sistema scolastico pubblico del Paese in cui si trovano. Un fine valido e nobile ma inattuabile in un paese come il Kenya, dove il governo è assente e non è pronto a questo tipo di integrazione. Il risultato sarebbe stato lasciare questi bambini a casa. Abbiamo quindi deciso di proseguire sulla nostra strada, causando qualche malcontento nelle agenzie Onu con cui ci confrontiamo e dialoghiamo. Ma l’obiettivo politico non sempre coincide con la realtà del contesto in cui ci si trova.
In Turchia, a Istanbul e a Gaziantep, siete arrivati a chiudere la scuola. Cos’è successo?
È stata una scelta sofferta e frutto anche di una mancanza di esperienza. Ci siamo presentati al municipio a Istanbul dove prima ci hanno accolto con molte feste e nei mesi successivi hanno provato a mettere in ogni modo le mani sul nostro progetto.
Come?
Attraverso una serie di richieste inaccettabili per farci capire che la cosa si sarebbe fatta solo alle loro condizioni. Prima hanno richiesto di scegliere il personale scolastico e gli studenti da una lista proposta dalle autorità turche, poi di selezionare i contenuti da trattare in base alle loro preferenze. Ancora più inaccettabile se si pensa che in quello che di fatto non è uno Stato laico e in cui l’istruzione è considerata materia di sicurezza nazionale, i cittadini turchi non possono frequentare scuole internazionali. L’alternativa per avere i permessi e agire in libertà era quella di pagare. Ci siamo rifiutati e ce ne siamo andati.
Non una scelta semplice.
Credo sia stato il momento spartiacque per l’organizzazione. Fino a quel momento ci eravamo definiti una realtà indipendente, quella è stata la prova concreta per dimostrare che lo fossimo davvero. In uno dei tanti incontri avvenuti in quel periodo con le autorità del Paese, la nostra riunione era preceduta da quella organizzata per un’altra ong, molto più grande e strutturata. Quando hanno terminato e siamo entrati, il funzionario turco ci ha chiesto: “Perché a differenza di chi vi ha preceduti voi dovete fare così tante storie?” Un modo efficace per capire il mondo in cui lavoriamo.
Da quel momento in che modo vi siete mossi negli altri Paesi per proporre i nuovi progetti?
Abbiamo capito che rapportarsi con le istituzioni in tanti dei Paesi in cui operiamo è come una danza continua. Molto spesso viene chiesta una tangente per poter ottenere permessi e aprire. Ogni realtà ha i suoi modi codificati per comunicarlo. In Kenya, ad esempio, ti dicono “dammi il tè” o “parlami in modo gentile” e tu sai cosa significa. In quel caso si trattava di cifre irrisorie, ma è una questione di principio: Still I Rise non accetta accordi di questo tipo e non lo farà mai, nonostante glielo si possa chiedere più volte e in modi diversi.
Come si trova la soluzione?
Per sfinimento. Quando hanno capito che, per quanto potessero chiedere soldi o altri compromessi, non avremmo accettato, hanno cambiato atteggiamento e sono diventati molto più esigenti nel rispetto di ogni singolo cavillo riguardo alle norme, anche quelle più insignificanti, e sul rilascio dei permessi, aumentando i controlli sul centro in modo mirato e dispettoso e trovando di volta in volta qualcosa da modificare nella struttura. È un modo per provare a farti cedere, ma prima o poi si esaurisce e la danza finisce.
Un mondo complicato di cui parli sui social e in pubblico senza semplicismi e senza rifuggire dalla complessità dei temi che tratti.
Avere sempre cercato di riportare questa complessità sia tramite l’attività delle persone di Still I Rise sia attraverso la mia voce individuale è una caratteristica fondamentale dell’organizzazione. Parliamo di argomenti, come l’immigrazione, i diritti umani e l’educazione, molto discussi, anche se spesso in maniera grossolana. Non per mancanza di capacità di analisi, ma perché sono temi estremamente politicizzati e quindi soggetti a distorsione. Rimanere indipendenti serve anche a questo: fare una comunicazione più accurata, che rispetti le difficoltà del settore di cui facciamo parte.
Alla gente questo approccio piace?
Penso sia uno dei motivi per cui Still I Rise è cresciuta negli anni e continua a farlo. È un modo di fare che fa breccia nelle persone, abituate ad ascoltare voci molto polarizzate in questo campo. Di conseguenza, il nostro approccio è poco comune e si differenzia. E, soprattutto, ci rende inattaccabili sul piano ideologico: in base quello che diciamo e facciamo, nessuno può permettersi di giudicare Still I Rise come un’associazione di destra o di sinistra.
Un’organizzazione autonoma dalle istituzioni politiche e laica. A prescindere dall’associazione, che rapporto hai con la religione?
Mi considero un uomo di fede, ma non una persona religiosa, non legata cioè alle istituzioni religiose. In questi dieci anni ho visto l’uso che si fa della religione, qualunque essa sia, dall’Induismo, al Cristianesimo, all’Islam, per influenzare la vita di persone vulnerabili. Gente povera e senza istruzione, che ha bisogno di conforto e a cui viene offerto un rifugio con il fine di utilizzare quella devozione per lucrare a livello economico o interferire sul piano sociale e politico. In Africa, ad esempio, è un fatto diffuso che le Chiese evangeliche americane facciano arrivare grosse quantità di denaro per condizionare il processo legislativo e l’esito delle elezioni in diversi Paesi. L’approvazione dell’ultima norma sulla criminalizzazione dell’omosessualità in Uganda, fino all’uso della pena di morte, ne è una dimostrazione.
Di recente hai incontrato Papa Francesco, che uomo hai conosciuto?
Ho incontrato un uomo straordinario che veicola un messaggio di unità e speranza con la capacità unica di arrivare a milioni di persone. È questo che mi interessa. Oggi, Papa Francesco segue una linea più progressista degli altri leader religiosi.
Quello di Still I Rise è un viaggio intorno al mondo che vuole avere come punto di arrivo il ritorno a casa.
Il viaggio di espansione si chiuderà in Italia, dove l’obiettivo è aprire una scuola internazionale formata per metà da studenti italiani e metà da alunni migranti.
Perché l’Italia?
Abbiamo identificato un’emergenza educativa nella scuola italiana suffragata dai dati molto preoccupanti che tutti conosciamo. Vogliamo portare e sperimentare un approccio alternativo, quello utilizzato dalla nostra organizzazione, che secondo noi può rappresentare un’alternativa valida per il futuro, con la speranza che possa diventare un caso studio e contagiare il sistema scolastico del nostro Paese.
Qual è la scuola dei sogni secondo Nicolò Govoni?
È la domanda alla base di Still I Rise. Abbiamo immaginato e disegnato la scuola che avremmo voluto frequentare da ragazzini. Ogni giorno affiniamo quello che secondo noi è un metodo educativo che sta funzionando e può segnare un cambio di passo. Lo abbiamo sintetizzato in quattro pilastri. La scuola come casa, un luogo accogliente e bello, la figura dell’insegnante come mentore altamente qualificato, motivato e inserito nella comunità locale, la capacità di mettere al centro della lezione lo studente, il vero protagonista, e l’insegnamento di idee e concetti in grado di formare i ragazzi alla libertà e dare a tutti loro gli strumenti per cambiare il mondo.