È la responsabile degli scavi in corso a Fano, dove si spera di aver riportato alla luce i resti della Basilica di Vitruvio. «La stiamo cercando da cinquecento anni». Nella scatola degli attrezzi non ci sono soltanto pala e piccone
Non è un tema che trattiamo, come dire, spesso su StartupItalia. Di solito navighiamo tra app, tecnologie di frontiera e storie di imprenditori e imprenditrici che raccolgono milioni di euro in capitali. Ma la recente scoperta archeologica a Fano, nelle Marche, ci ha incuriosito. Il passato è un luogo dove in molti trovano spunti di riflessione, conoscenza. In un’Italia dove la storia sta diventando pop – sempre sia lodato il prof Alessandro Barbero – abbiamo voluto riprendere la notizia con il nostro stile, andando a intervistare proprio l’archeologa che ha trovato quella che sulla stampa è stata indicata frettolosamente come la Basilica di Vitruvio. Ma è la stessa esperta a precisare: «Al momento è soltanto un’ipotesi, la più allettante. Dagli studi fatti finora dal punto di vista topografico in quell’area di Fano, metro più in su metro più in giù, sorgeva la Basilica di Vitruvio. Ma non abbiamo ancora la certezza di averla davvero trovata».
In una città, Fano, dove è attivo un centro studi vitruviano attorno alla figura del famoso architetto romano, in tanti incrociano le dita. «Stiamo cercando questa Basilica da 500 anni – spiega Aguzzi -. Nel trattato De Architectura, dove detta i canoni, Vitruvio scrive della Basilica che ha costruito nella colonia di Fano. Non ha nulla a che fare con un luogo di culto religioso: è un edificio pubblico romano. La descrive con all’interno grandi colonne di ordine gigante». Per il momento la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Ancona e Pesaro Urbino ha chiesto ulteriori fondi al ministero per proseguire gli scavi. «Per Fano vale a prescindere come scoperta importante». Non resta dunque che aspettare prima di capire il grado di valore di questo tassello nella storia archeologica del nostro paese. Nel frattempo, se oltre alla tecnologia avete la passione per la storia antica (qui il merito è anche di Indiana Jones: il prossimo film esce a giugno), abbiamo colto l’occasione dell’intervista per capire come è cambiato il mestiere dell’archeologo.
Un mestiere “nuovo”
Vi stupirà scoprire che in Italia, il paese che vanta il maggior numero di siti Unesco, dove basta scavare nel terreno di qualsiasi centro storico per scoperchiare resti antichi, formalmente il lavoro dell’archeologo ha poco più di dieci anni. «Siamo stati riconosciuti professionalmente nel 2014 – ci racconta l’archeologa -. Nel 2019 sono poi uscite le tre fasce di riconoscimento professionale, in base ai titoli e alle esperienze». Il primo livello, ad esempio, è quello incaricato di verificare preventivamente la presenza di situazioni d’interesse. Da qui il termine di archeologia preventiva. «Quando si deve costruire un metanodotto, si effettuano ricerche: indagini sulle tracce storiche, indagini topografiche e fotografie aeree. Questo porta alla valutazione in fase progettuale».
Non si entra in azione soltanto quando si scopre qualcosa di antico. «Il mestiere dell’archeologo non è limitato allo stare in cantiere. Ci sono anche la catalogazione, la ricerca, la modellizzazione». E, come in qualsiasi altro lavoro, ogni fase ha i propri strumenti e tecnologie. «A Fano, ad esempio, non potrei fare quello che faccio senza l’aiuto dello studio adArte di Rimini. Abbiamo utilizzato i droni per esempio». E non soltanto per fare gli scatti dall’alto, che pure sono utili in un ambiente urbano dove il margine di movimento è limitato. Nel caso specifico gli scavi sono all’interno di un cortile tra abitazioni. «La fotografia fatta dal drone si fa con i punti di riferimento sul GIS (un software utilizzato in archeologia, ndr). Si georeferenzia l’immagine in base ai punti battuti». E così si ottiene un rilievo.
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Sul nostro magazine raccontiamo i mestieri che cambiano. L0 abbiamo fatto di recente anche alla luce dell’impatto che tutti si immaginano ChatGPT avrà nella quotidianità di molti professionisti. Ebbene, anche l’archeologo è una professione che ha beneficiato delle innovazioni tecnologiche, pur avendo mantenuto la componente manuale. «All’inizio è pala e piccone. Cinquant’anni fa – dice Aguzzi – di norma si arrivava sempre in corsa. Magari durante una costruzione saltava fuori un muro o un reperto e solo allora si interveniva. Nessuno veniva interpellato in via preventiva». Ma prima di passare ad altri attrezzi del mestiere riteniamo che fare un cenno sulla figura di Vitruvio sia utile, per capire l’importanza innovativa che ha avuto il trattatista Marco Vitruvio Pollione.
Un tutorial ante litteram
Il suo De Architectura, risalente al I secolo a.C, è suddiviso in vari libri e contiene un corpus delle nozioni architettoniche. Si tratta di una raccolta il cui scopo era non soltanto aiutare i professionisti a costruire, ma anche i non esperti a prendersi cura della propria casa. Possiamo spingerci ad affermare – e qui qualche latinista inarcherà il sopracciglio – che Vitruvio abbia realizzato una sorta di tutorial scritto per la manutenzione degli edifici? E diciamolo. L’opera è inoltre ritenuta preziosa perché contiene informazioni sui materiali costruttivi, sulla tecnica dei muri, sull’utilizzo dei colori, sui pavimenti, sui mosaici e su molto altro.
Tornando agli strumenti del mestiere, Aguzzi ce ne ha citato un altro. «Diversi archeologi utilizzano il georadar: permette in maniera molto semplice di veder cosa c’è sotto il livello del terreno». Ma, come ricordato dall’esperta, questo non è un lavoro praticato soltanto sul campo. La tecnologia dà una grossa mano anche per catalogare e tenere le informazioni sotto controllo. «Per Fano stiamo utilizzando pyArchinit, un software open source disponibile gratuitamente. Serve per la gestione dei dati archeologici».
Il valore della divulgazione
Studiare il nostro passato è senz’altro il modo migliore per influenzare il futuro con scelte consapevoli, sia come singoli che come collettività. Un ruolo decisivo in questo percorso di presa di coscienza è giocato dai divulgatori. Sulla scia dell’insuperabile Piero Angela, scomparso nel 2022, tantissime persone si sono avvicinate e appassionate alla storia, così come alla scienza. Nella speranza di poter scoprire di più su Fano e sulle tracce dell’ipotetica Basilica di Vitruvio, abbiamo chiesto ad Aguzzi il valore di queste figure. «Piero Angela è stato il primo che ha portato la storia e la scienza in casa di tutti. Lui e molti altri hanno avuto e hanno la capacità di essere semplici e trasmettere concetti non facili». Sono le persone che ci vorrebbero, anche perché «spesso ci si chiude tra addetti ai lavori e si perde la bravura di spiegare agli altri quel che si fa». Se è giusto che i tecnici facciano il proprio mestiere, l’auspicio (e vale anche per la scienza) è che il sapere sia sempre di più alla portata di tutti. «Tutto va bene per fare comunicazione. L’importante è saper trovare la giusta chiave per avvicinare le persone».