Bicchieri, flaconi, palloncini. La Direttiva approvata dall’Europarlamento prevede divieti, ma anche tante – troppe – deroghe. E le microplastiche? Neanche contemplate
Non ci libereremo presto della plastica. E non perché sarà difficile mettere al bando, in pochi anni, forchette, coltelli, cotton fioc, cannucce e tutti gli altri prodotti (sono davvero moltissimi) elencati nella Direttiva Europea appena approvata da Bruxelles con la quale, almeno in via teorica, si sarebbe dovuto dire addio a questo prodotto così persistente e inquinante.
Non ci libereremo presto della plastica perché sono tantissimi gli oggetti di uso quotidiano, dalle salviette umidificate ai flaconi per detersivi (con relativi tappi) che potranno ancora circolare negli Stati Europei – sì, certo, con marcatura o altri requisiti di fabbrica – continuando ad alimentare una cultura dell’usa-e-getta, vera emergenza globale.
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Microplastiche? Non pervenute
E che dire poi delle microplastiche? Appena accennate. “Non rientrano direttamente nell’ambito di applicazione della presente direttiva – taglia corto il documento – ma contribuiscono ai rifiuti marini e l’Unione dovrebbe pertanto adottare un approccio globale al problema”.
Cos’è il prodotto in plastica monouso?
La Direttiva lo spiega all’articolo 3, presentandolo come “fatto di plastica in tutto o in parte” e “non concepito, progettato o immesso sul mercato per compiere più spostamenti o rotazioni durante la sua vita”. Vita, la loro, che spesso finisce o galleggiante nei mari e negli oceani, o spiaggiata sulle rive di mezzo mondo.
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Vi abbiamo parlato di 9 milioni di tonnellate di rifiuti plastici che ogni anno inquinano le acque. Dal fiume più vicino a noi, all’arcipelago più sperduto nel Pacifico. Tanta immondizia che la Direttiva purtroppo contempla soltanto in parte, tralasciando tanti prodotti che comunque, per necessità o meno, resteranno in commercio.
La plastica che la fa franca
All’articolo 6, la Direttiva europea battezzata SUP (Single Use Plastic) non parla più di bando, ma inizia con le deroghe, dando il compito agli Stati membri di ammettere sul mercato le bottiglie per bevande “con capacità fino a tre litri” solo se “tappi e coperchi restano attaccati ai contenitori”.
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La novità sembra però riguardare più i produttori dei consumatori, quasi che basti sistemare il packaging fingendo di ignorare la necessità di campagne governative educative per convincere le persone che buttare una bottiglie di plastica in mare è sbagliato. E a proposito, quant’è in numeri l’inquinamento che galleggia e danneggia gli ecosistemi? La Direttiva stima che siano di plastica dall’80 all’85% gli oggetti ritrovati sulle spiagge dell’Unione. Di questi la metà è composta da plastica monouso.
E questi dove li butto?
Proseguendo nella lista della plastica che sfuggirà alla messa al bando in Europa, la Direttiva introduce all’articolo 7 una marcatura sui prodotti monouso che spieghi in modo chiaro al consumatore come smaltire quel rifiuto. Di cosa stiamo parlando? Filtri delle sigarette, tazze per le bevande, assorbenti e tamponi igienici, applicatori per tamponi e salviette umidificate. Oggetti di uso comune, necessari (o inevitabili?), che complicano il quadro sognato di un’Europa plastic free. E soprattutto, perché dalla tavola verranno banditi piatti, posate e cannucce, ma continueremo a bere da bicchieri di plastica?
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“Chi inquina paga”. O chi produce?
È il claim di questa Direttiva che si rivolge agli Stati Europei per diffondere sensibilità a tutti i livelli. O meglio, responsabilità, come quella che il documento estende a chi produce plastica monouso. Siamo all’articolo 8, dove le cose si complicano.
Perché ogni Stato dovrà imporre il costo per la raccolta e il trattamento di prodotti come le vaschette in plastica della pausa pranzo e i palloncini che rallegrano le feste di compleanno a carico dei produttori. Gli stessi che si sobbarcheranno anche i “costi di rimozione dei rifiuti da tali prodotti dispersi e il successivo trasporto e trattamento”. Con conseguenti ricadute (leggi: rincari) su noi consumatori.
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Microplastiche, macroproblema
Ma se la plastica viene presentato come un “materiale onnipresente nella vita quotidiana” – sono le parole della Direttiva – quanto è realistico aspettarsi un’Europa che abbandona in pochi anni l’abitudine dell’usa-e-getta? Sempre ammesso che sia quello l’unico problema.
Gli eurodeputati hanno infatti approvato un documento che trascura del tutto le microplastiche. Nurdles, o se preferite le lacrime di sirena, minuscole palline colorate che nulla hanno di innocuo.
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Sono il “frutto” della degradazione, detriti di prodotti in plastica che col tempo perdono pezzi. Ma li troviamo anche nell’industria cosmetica, dove vengono utilizzati per la cura del nostro corpo (a spese dell’ambiente). Stanno nei dentifrici, nei saponi che ci danno quella bella sensazione di mani levigate, negli scrub che massaggiano la nostra pelle.
Tutta plastica che quasi nessun filtro è in grado di trattenere, condannandola ai fiumi e infine al mare. Dove questi frammenti diventano spugne, assorbendo tutti gli agenti contaminanti disciolti in acqua. Pesticidi che finiscono nella pancia dei pesci. Che finiscono sulla tavola di chi?