Il grande scienziato e premio Nobel fu uno tra i promotori del tentativo di tracciare la “mappa della vita”. Ecco la sua storia
Nato al sole di Calabria, trascorse l’adolescenza in Liguria e la giovinezza da studente a Torino. Ma fu in America che Renato Dulbecco, emigrante di lusso della nostra ricerca, trovò la consacrazione, come altri connazionali tra cui Enrico Fermi e, soprattutto, i compagni di studi Salvatore Luria e Rita Levi Montalcini.
Il piccolo (ma solo di statura) scienziato è uno degli italiani da esportazione che il mondo ci ha invidiato, e la concorrenza straniera portato via. Uno spirito capace di destreggiarsi tra la medicina e la fisica, così come tra le due sponde dell’Atlantico. Talmente a suo agio in ogni contesto che nel 1999 lo troveremo nel più improbabile dei palcoscenici: quello del Festival di Sanremo, accanto a Fabio Fazio e Laetitia Casta.
Laurea a ventidue anni
Da Catanzaro, dove il padre ufficiale del Genio Civile si era trasferito, il piccolo Renato si trasferisce nuovamente al Nord all’età di cinque anni. Diploma al liceo di Imperia nel 1930 a soli 16 anni, si iscrive subito a Medicina, dove si laurea nel 1936 nello stesso ateneo dove insegna Giuseppe Levi, rigorosissimo (ma assai stimato) docente il cui ritratto fu reso immortale dalla figlia Natalia Ginzburg in Lessico Famigliare.
Leggi anche: Covid-19 | Spray e cerotto per vaccinarci. Lo studio dell’Università di Pittsburgh
È nella città sabauda che conosce Montalcini, ed è proprio a Torino che rimane come assistente prima di essere chiamato al fronte: finisce sul fronte francese, poi in Unione Sovietica. Sul Don si lussò una spalla cadendo sul ghiaccio: dopo un periodo in ospedale, diserta fino all’8 settembre. Tornato in Italia, si stabilisce nelle Langhe, dove comincia a interessarsi all’antifascismo curando i partigiani nascosti.
A guerra finita, pare sia stata proprio Rita Levi Montalcini a spingerlo ad attraversare l’oceano nel 1946: sull’altra sponda c’era Salvatore Luria, ormai per tutti Salvador, già docente in Indiana, tornato brevemente a Torino per visitare la famiglia dopo il conflitto. I due furono presentati con la mediazione della scienziata. S i piacquero, e Luria gli propone di trascorrere un anno o due nel laboratorio di Bloomington dove insegnava. I due futuri premi Nobel si imbarcano assieme su una nave polacca per andare incontro al destino.
Leggi anche: Lo Stato comatoso (delle terapie intensive). Solo 3 Regioni hanno aumentato i post
Negli Usa Dulbecco si ambienta in fretta, e ottiene la cittadinanza americana nel 1953. Appena arrivato, inizia una frenetica attività che lo conduce a svelare i meccanismi di autoriparazione del DNA danneggiato dalle radiazioni, risultato che gli vale la chiamata al California Institute of Techology, dove inizia a lavorare sul rapporto tra virus e cancro.
Gli studi intrapresi lo portano a capire che i virus oncogeni provocano tumori a causa del materiale genetico che viene incorporato nel DNA della cellula ospite.
Nel 1970 fu tra i fondatori del Salk Insitute di La Jolla, nel 1972 il ricercatore si sposta, quindi, a Londra, all’Imperial Cancer Research Fund Laboratories. E si trova nella capitale britannica quando, nel 1975, arriva il riconoscimento più ambito: Dulbecco, italiano emigrato, viene chiamato a Stoccolma. Ha vinto il Nobel.
Il progetto Genoma: le origini
Ma accontentarsi, anche dopo una vita di successi, è fuori discussione. Troppo forte il fuoco della ricerca, troppo grande la voglia di vincere la battaglia contro la malattia alla quale aveva dedicato gran parte della vita. Così, a sessant’anni compiuti da un pezzo, lo scienziato si fa tra i promotori di un progetto visionario ma che, se completato, avrebbe avuto il potere di cambiare le sorti della medicina.
Leggi anche: Tutti i numeri sul Covid e su come avanza, elaborati da Lorenzo Ruffino
L’idea nasce in ambienti accademici sul finire degli anni Settanta. Un’impresa difficile anche da concepire al tempo in cui fu pensata. A chiarire di cosa si trattasse ci pensò lo stesso Dulbecco, che già nella discorso pronunciato a Stoccolma durante la consegna del Nobel aveva anticipato il nocciolo della questione. “La possibilità di avere una visione completa e globale del nostro DNA – scriveva lo scienziato in un editoriale su Le Scienze nel 1986 – ci aiuterà a comprendere le influenze genetiche e non genetiche sul nostro sviluppo, la nostra storia come specie e come combattere le malattie genetiche e il cancro”.
Progetto Genoma: una storia travagliata
Non fu una passeggiata. La storia del Progetto Genoma Umano, anzi, fu travagliata. Le difficoltà tecnologiche, innanzitutto: la vastità del progetto rendeva necessario pensare in una scala diversa da quella a cui i biologi erano abituati. Servivano finanziamenti, appoggio duraturo da parte dei governi e una collaborazione tra centri di ricerca difficile da ottenere.
Leggi anche: Covid, quarantene e bar chiusi. L’AI ci salverà dalla solitudine?
Nonostante l’appoggio di insigni studiosi, inoltre, sin da subito emersero perplessità di carattere etico: il progetto Genoma Umano sarebbe stato il prodromo al ritorno all’eugenica, cioè alla selezione della specie? Il nazismo e gli orribili esperimenti del Terzo Reich erano un ricordo ancora vivo nel Vecchio Continente, dove il dibattito si concentrò. Per capire il contesto in cui si sviluppò la discussione, giova ricordare che il mondo era ancora diviso in blocchi, e lo spettro di una guerra nucleare incombeva da decenni.
Leggi anche:
La pandemia ha cambiato il modo di fare la spesa. Ecco come
Ma c’erano anche altre, più prosaiche, questioni. La corsa al completamento vide due attori giocarsi la partita, la rete internazionale di centri pubblici e un’azienda privata, la Celera Genomics. Approcci differenti, obiettivi differenti: se il primo, che alla fine prevarrà, mirava a rendere disponibili a tutta la comunità scientifica i risultati, Celera voleva brevettarli e fornire accesso a pagamento. “Anche grazie alle pressioni provenienti dal mondo politico e dall’opinione pubblica […] la strategia del progetto pubblico è risultata vincente, anche perché consentirà nel futuro di massimizzare i benefici sociali, tecnologici ed economici derivanti dalla grande impresa genomica” scrive Daniel J. Kevles, storico della scienza, in un saggio preparato per l’enciclopedia Treccani.
Anche l’Italia partecipa, sino a un certo momento, allo sforzo. Dulbecco, si diceva, è tra i capofila: spende ore in laboratorio e il patrimonio di credibilità che si era costruito in una vita di ricerche per cercare supporto anche finanziario al progetto. Purtroppo, qualcosa va storto. Nel 1995 il Ministero taglia i fondi – senza ragione apparente – e l’Italia si trova presto relegata ai margini della partita, che venne condotta in porto grazie alla collaborazione fra i laboratori di Stati Uniti (di gran lunga il maggior finanziatore del progetto), Gran Bretagna, Giappone, Francia, Germania e Cina. Non a caso, la prima conferenza stampa in cui si annunciava il completamento del sequenziamento (in realtà non ancora avvenuto) fu tenuta da Bill Clinton, allora presidente USA, e Tony Blair, premier britannico.
Leggi anche: Chi è Gitanjali Rao, la scienziata 15enne “ragazza dell’anno” di Time
Il premio Nobel, ricorda chi c’era, ci rimase male. Anche se l’America era per lui diventata una seconda casa, ci teneva a ritagliare un ruolo rilevante per il proprio paese. Da allora si spese con rinnovato vigore per sostenere la causa della ricerca, e in questo senso va inquadrata la sua partecipazione a Sanremo. Se non altro, il grande scienziato ebbe modo di vedere completato il suo sogno: il traguardo fu, infatti, tagliato nel 2003, quando lui era ancora in vita e attivo, aprendo la via per una nuova frontiera della conoscenza.
Leggi anche: Arianna Ortelli a 24 anni inventa una console per far giocare ipo e non vedenti. La sua storia
A cosa serve il progetto Genoma
Ma a cosa serve il progetto Genoma? E quali sono i risultati pratici? Una domanda non banale. “Gli scienziati hanno letto la sequenza completa dei tre miliardi di basi nucleotidiche che compongono il patrimonio genetico della specie umana” spiega ancora Kevles.
Leggi anche: Covid, una quattordicenne ha scoperto una molecola utile per il farmaco
Ma, nonostante lo sforzo ciclopico, questo è solo l’inizio. “Il Progetto genoma è una pietra miliare – prosegue lo storico – ma soprattutto un punto di partenza per comprendere i meccanismi alla base dei fenomeni della vita. L’analisi del significato e del modo di operare dei genomi in relazione allo sviluppo organico, alle malattie e alla morte terrà occupati i biologi ancora per decenni”. Una visione che si sta realizzando con gli studi di medicina predittiva, che consentono di anticipare la predisposizione individuale a determinate malattie; e, si spera, un giorno di individuarne anche le cure. Il più, però, deve ancora essere fatto. Il progetto genoma è come un dizionario di una lingua sconosciuta, e solo il paziente lavoro di analisi e interpretazione potrà sfruttarlo appieno.