C’è una violenza di genere a cui non si fa caso. Non produce rumore, non lascia tracce sul corpo, e anche quando ci finisce sotto gli occhi non genera l’indignazione che accompagna le violenze tutte. Per paradosso, persino chi ne è vittima – all’inizio e fino a che la violenza non deflagra con l’evidenza di tutto il suo danno – può non realizzare di subirla. Si tratta della violenza esercitata attraverso il controllo del denaro, ed è così subdola e sfuggente perché gli schemi da cui si genera sono diffusamente tollerati, peggio, normalizzati. Non serve che lavori: a te penso io; Non serve che vada tu in banca, ci vado io che me ne intendo; Non serve che tu abbia un conto tuo, siamo una coppia, no?!; Mollalo quel lavoro, che non ti merita sono le prime manifestazioni – apparentemente benevole – attraverso cui un partner che concepisce le relazioni come possesso inizia a esercitare il controllo sull’altro.
Per la natura che hanno tutte le forme di violenza, anche questa si dipana, poi, in una brutale escalation, per cui se all’inizio si ammanta di benevolenza paternalista, eccola prendere dopo le strade tossiche dell’umiliazione, e poi ancora le derive dell’abuso. Lui – le statistiche dicono che il partner abusante in queste relazioni è quasi sempre maschio – comincia a fare le pulci sul conto della spesa che fa lei, a esigere resoconti minuziosi su ogni uscita di denaro, poi a impedirle l’operatività sul conto condiviso, sempre che sia condiviso, reclamandone la gestione esclusiva. Se lei lavora e guadagna, non la mette al corrente di come investe i suoi soldi; se non guadagna, le assegna le briciole a mo’ di paghetta, piccole somme di denaro per le sue piccole piccole spese personali.
La violenza economica e le dinamiche di potere
Le ragioni per cui la violenza economica viene praticata hanno a che fare con le dinamiche di potere: chi detiene il denaro detiene “il bastone del comando” e attraverso tale supremazia esercita il controllo sulla vita del partner, sgretolando piano piano le basi della sua indipendenza economica; e del resto, senza mezzi di sostentamento propri, scappare via dalla relazione è pressoché impossibile, così il cerchio della dipendenza tessuto dal persecutore si salda.
Ma poiché nel sistema economico-sociale in cui viviamo il denaro è anche – che piaccia o meno – uno dei terreni su cui viene misurato il valore dell’individuo, privando la partner del denaro l’abusante prende di mira non solo la sua indipendenza, ma anche il suo valore: la svaluta, la deprezza, la annienta. Tu non sei nulla, nulla vali e perciò hai bisogno di me è il ricatto messo in campo, che via via dilaga nella totale emarginazione economica famigliare della partner, fino a conclamarsi in una prigionia in cui alla devastazione emotiva e psicologica si somma la rovina economica. Nell’escalation della violenza economica, secondo le perverse evoluzioni ormai messe a fuoco dagli studi sul tema, l’abusante arriva a impadronirsi del denaro della partner, la induce a fare da prestanome per sue attività fallimentari o a lavorare per lui senza esigere pagamento, la costringe a firmare fideiussioni. Spesso le vittime finiscono per perdere letteralmente tutto.
Diffuse discriminazioni e schemi di potere
Quelle raccolte nelle strutture che accolgono le vittime di violenza economica sono testimonianze da brividi. Non fanno notizia perché tutto sommato, ripulite delle forme parossistiche dell’abuso famigliare, ci richiamano diffuse discriminazioni e schemi di potere che abbiamo normalizzato: sperequazioni dei salari (il famigerato gender pay gap), esclusione delle donne dalle professioni più ricercate e in cui si guadagna di più, blocco delle carriere in caso di maternità, riduzione del lavoro a part time poco redditizi e rinuncia al lavoro a favore della cura famigliare rappresentano le condizioni per cui le donne sono spesso costrette a dipendere da un uomo e sono anche le ragioni per le quali il mercato del lavoro rimane sostanzialmente un regno al maschile. Questa svalutazione sistematica continua a replicare anche una dominanza economica non solo sul piano individuale, ma su quello più esteso di un genere sull’altro che, a sua volta, genera a cascata squilibri sociali, lavorativi, famigliari.
In Islanda la protesta delle donne contro la violenza economica
In Islanda, qualche settimana fa decine di migliaia di donne si sono rifiutate di andare a lavorare per un giorno e hanno incrociato le braccia anche a casa per protestare contro la violenza di genere e la disparità dei salari maschili e femminili che, nonostante azioni e leggi a contrasto, è lontana dall’essere colmata. La violenza economica è frutto di radicato sistema di discriminazioni, stereotipi culturali, schemi di supremazia/inferiorità che sembrano resistere a tutto: c’è voluto lo sciopero di una nazione intera e parecchio evoluta sul piano dei diritti per ribadire che c’è una connessione tra violenza e parità economica e che non sarà più ammissibile che un lavoro valga meno per l’unica ragione che è svolto da una donna, perché anche questa è una forma di abuso.