Ha creato una piattaforma digitale per il trattamento dei disturbi alimentari. Ha messo insieme un’equipe di medici, nutrizionisti, psicologi e mediatori familiari che puntano a offrire un percorso di cura che sia «il più adeguato e tempestivo possibile». L’idea è nata da un suo problema personale: ha sofferto di anoressia nervosa dai 16 ai 23 anni. E ora, che di anni ne ha 26 ed è guarita, ha deciso di mettere a disposizione tutto quello che ha imparato sulla sua pelle e fondare una startup. L’ha chiamata Comestai (scritto così), perché dopo anni di cure sbagliate, diagnosi mancate e centri in cui entrava e la prima domanda che le veniva fatta era: «Quanto pesi?», ha trovato il posto giusto, in cui entrando si è sentita dire: Come stai?
Quante persone soffrono di disturbi alimentari in Italia?
Da questa esperienza è nata la sua missione: creare un servizio che mettesse al centro la persona e non solo la malattia. Lei è Aurora Caporossi. In tasca ha una laurea in comunicazione alla Sapienza di Roma, anni di esperienza nel mondo della blockchain, poi un master in disturbi alimentari a Todi e l’idea della startup. «Secondo alcuni studi del Ministero della Salute, quasi 4 milioni di persone in Italia soffrono di disturbi alimentari. Nel 2023 solo 22mila hanno avuto accesso alle cure. C’è un grande spazio per intraprendere. Comestai non sostituisce i centri sul territorio o gli ambulatori, ma è un servizio complementare. Una cosa in più, che può permettere a tutti di fare un percorso di cura anche direttamente da casa propria».
Come funziona la piattaforma Comestai
Funziona così: ci si collega online, si accede a un primo colloquio gratuito con un medico e uno psicologo e poi si prosegue con un percorso personalizzato, seguito da diversi professionisti dell’equipe. «Noi prendiamo in carico la persona, ma anche la sua famiglia a 360 gradi, che nel trattamento di un disturbo alimentare è fondamentale. Sulla piattaforma si trovano poi tutta una serie di risorse psicoeducative, per rendere più consapevole chi soffre del disturbo e spingerlo a chiedere aiuto. Spesso chi ha un problema alimentare non crede di averlo. Uscirne è difficile, soprattutto nella fase che si chiama di recovery, il recupero. I dati – ha commentato Aurora Caporossi – ci raccontano che circa il 51% delle persone che ha un disturbo alimentare può avere una ricaduta. Ma si guarisce. Ci vuole costanza nel proprio percorso di cura. Le evidenze scientifiche parlano di un periodo che va dai 2 ai 5 anni. Tuttavia è un percorso strettamente personale. Io ho impiegato 7 anni».
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Partita a maggio 2024 in bootstrapping, Aurora è riuscita a coinvolgere in Comestai una vera e propria equipe di professionisti per una cura che lei definisce multidisciplinare. «25 esperti mi hanno contattata per offrirmi aiuto e darmi feedback nel progetto. Ciò mi ha fatto capire di essere sulla strada giusta». E i capitali? «Abbiamo fatto alcune application per diversi programmi di accelerazione e stiamo cercando di capire come organizzare la prima raccolta di fondi». Con Aurora, nel team ci sono Lucia Elisabetta Abate, dietista e referente area nutrizione di Comestai e la psicologa Valeria Ventura.
Durante la pandemia di Covid-19, Aurora nota che il tema della salute mentale, e in particolare dei disturbi alimentari, diventa sempre più rilevante. Questo la spinge a riflettere. Si rende conto che occorrono strumenti accessibili a tutti, utilizzabili anche online. E a superare quella vergogna che da sempre l’ha accompagnata.
Al servizio degli altri
«Per molto tempo mi sono vergognata di aver sofferto di un disturbo alimentare. Spesso ti incolpi per quello che è successo e per il dolore che hai causato agli altri ma nessuno sceglie di ammalarsi di un disturbo alimentare. Per me questo disturbo è l’espressione di un dolore, di un disagio profondo che non riesci a esprimere con la parola. Con il cibo cerchi di controllare queste emozioni, una sorta di tentativo di sopravvivenza. Quando l’ho capito, in una fase più matura della mia vita, ho provato a trasformare il dolore che avevo affrontato in una nuova consapevolezza. E ho cercato di metterla al servizio negli altri».
Così Aurora inizia a lavorare nel centro per i disturbi alimentari, presso il Santa Maria della Veda a Roma, crea laboratori sul digitale per lavori di gruppo e studia come la malattia viene trattata sui social network. «E quando la malattia la guardi in faccia, riflessa nel viso di tante persone, scatta qualcosa: vuoi provare a dare una mano, perché ci sei passata e vuoi che il percorso degli altri sia meno frastagliato e piu accessibile di quello che hai fatto tu». A oggi 100 persone hanno fatto il primo colloquio gratuito con i professionisti della struttura. Chi prosegue paga 60 euro per un’ora con un esperto.
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«Fare startup non è facile. Trasformare un’idea in realtà è un percorso difficile, anche dal punto di vista emotivo. Vivi perennemente sulle montagne russe. Un giorno sei al massimo, il giorno dopo vuoi mollare tutto». Qual è la lezione più importante che hai imparato fino a qui? «Che Done is better than perfect. Bisogna fare, sbagliare, ascoltare il mercato – anche se non mi piace chiamarlo mercato- e ripartire. La perfezione è figlia dei disturbi alimentari, e non va inseguita».
Tra i suoi obiettivi futuri, c’è quello di accreditarsi come struttura sanitaria e l’aumento del numero di terapie che può erogare. Tra i suoi sogni, c’è quello di rispettare i suoi tempi. «Il mondo delle startup è un mondo in cui c’è molta pressione, bisogna sempre fare tutto veloce, combattere i competitor, essere perennemente sul pezzo. Io vorrei rispettare i miei tempi e la mia etica, e ricordarmi sempre che cosa voglio fare, perché lo faccio e per chi…».