Primo Digital è il nome del fondo che andrà a caccia di startup nei settori del software, retail digitale, cybersecurity, fintech e blockchain.
Primomiglio cambia nome ma non anima. La società di gestione del risparmio, presieduta da Gianluca Dettori, diventa Primo Ventures. Questa non è l’unica trasformazione, la notizia è il lancio di Primo Digital, fondo da 80 milioni che andrà a caccia di startup nei settori del software, retail digitale, cybersecurity, fintech e blockchain.
L’intenzione di Dettori e del team è di dare avvio al fondo con i primi investimenti entro la fine dell’anno: «Faremo investimenti da 500 mila euro fino a 2 milioni. Puntiamo a raggiungere i 25 investimenti», spiega Gianluca Dettori a Startupitalia.
Cortilia, Codemotion, Sardex Pay in portafoglio
Gianluca ci racconta come Primo Ventures non cambierà né la sua anima, né la strategia della SGR, che oggi ha in gestione Barcamper Ventures, Barcamper Ventures Lazio e l’ultimo arrivato, il fondo Primo Space Fund, focalizzato sugli investimenti nel campo spaziale (ne parliamo qui).
«Abbiamo imparato un sacco di cose in questi anni, soprattutto dagli errori che abbiamo fatto. Quello che ha funzionato è stato lavorare su investimenti di follow on (ovvero, investire più volte nella stessa startup, ndr) ed eliminare le attività di accelerazione dal nostro business, viste le tante realtà che già lo fanno in Italia. Ora sento che la nostra idea di 15 anni fa, quando siamo partiti a fare investimenti, è arrivata ad uno stadio di maturità».
Gianluca ci svela i numeri raccolti finora: 500 persone impiegate nei progetti in cui hanno investito, 30 milioni di finanziamento destinati alle startup in portafoglio (tra cui realtà come Cortilia, Codemotion, Brandon, Sardex Pay) che hanno saputo ottenere altri 70 milioni da investitori sul mercato e raggiungere gli 80 milioni di fatturato: “Siamo focalizzati da sempre sull’impatto etico e sociale: 500 stipendi oggi, immagina quanti saranno quando queste aziende cresceranno ancora tra 10 anni?”.
Tra Italia, Europa e Stati Uniti
Primo Digital sarà incentrato sul mercato italiano, anche se gli investitori puntano a osservare anche l’erba del vicino, riservando una parte degli investimenti al mercato europeo e americano:
«In media riceviamo 1000 business plan all’anno, di questi ne selezioniamo il 20%, investendo poi su cinque progetti. Diversi investimenti avvengono tramite referral, altri sono persone che ci scrivono via email o su Linkedin. Arrivano belle realtà che non sfigurerebbero a livello internazionale. Certo, qui in Italia, le startup sono ancora costrette a fare con due milioni quello che all’estero si fa con 20».
Nonostante si parta ancora ad armi impari, rispetto ad altri ecosistemi, Gianluca si dice fiducioso sul futuro dell’ecosistema, il bicchiere è mezzo pieno, specie quest’anno: «Casavo ha chiuso un round di 200 milioni, 100 milioni di Everli e poi ci sono i 34 di Cortilia, superiamo già i 300 e forse questo è l’anno buono per toccare il miliardo. Al di là di questi numeri, quello che conta è che inizia ad esserci traction, le startup dimostrano di essere un buon investimento e lo noto anche nella crescita delle startup nei portafogli di colleghi come P101, United Ventures e altri».
L’ultimo investimento: 1,5 milioni di euro a PharmaPrime
Gianluca ci svela in anteprima qual è l’ultimo investimento di Primo Ventures: 1,5 milioni (insieme a un club deal di investitori internazionali) per PharmaPrime, una piattaforma europea che permette di ordinare e ricevere a domicilio i prodotti delle circa 400 farmacie con cui oggi la startup ha stretto delle partnership.
Un team di under 35, quello di PharmaPrime, guidato da Luca Buscioni. La sua realtà è oggi presente a Roma, Milano, Genova e Bologna e ha l’ambizione di espandersi in altre 30 città italiane, entro la fine del 2021, per poi lanciare il servizio in Spagna e in altri Paesi europei.
La persuasione degli investitori istituzionali
Per alzare l’asticella, serve riempire alcuni segmenti del mercato che ancora non sono coperti da operatori, un problema che da tempo attanaglia il nostro ecosistema nelle fasce di investimento più alto, later stage e growth stage:
«Il problema è che se devi fare un investimento da 30 milioni qui mancano gli operatori. Difficile che una startup italiana che raccoglie 7 milioni possa affrontare un suo competitor che ne raccoglie, a parità di business, 130. La chiave è convincere gli investitori istituzioni, far capire loro che le startup sono ormai un settore rilevante e degno di attenzione. Le attività di Cassa Depositi e Prestiti e quelle di tante realtà come la nostra operano proprio in questa direzione».
Un’ultima battuta la strappiamo su Draghi, che come fatto notare sui giornali del settore, non ha ancora mai pronunciato il termine startup, malgrado spesso nei suoi interventi abbia parlato di giovani: «Apprezzo lo stile di Draghi di comunicare a cose fatte, anche se è vero che non ha parlato di startup, resto fiducioso».