Dal prodotto o servizio che, semplicemente, il mercato ha ignorato ai problemi col business plan fino al team sbagliato, poco marketing o l’esaurimento alla ricerca del massimo sforzo. Tutti gli errori da non fare
Le ragioni possono essere tante. Si va da una cattiva analisi del mercato – cioè da quell’illusione che tutti, lì fuori, stessero aspettando quell’illuminante prodotto o quel rivoluzionario servizio di cui, in realtà, nessuno aveva bisogno – ai problemi finanziari. E ancora, dagli errori nella costruzione della propria squadra alla lentezza nello sviluppo, che a volte rischia di farci superare dai concorrenti (o dai copioni con più disponibilità e rapidità).
Perché fallisce una startup? Ci pensa CB Insights, che già in passato aveva messo in fila una sorta di triste elenco di 101 giovani imprese che non ce l’hanno fatta, a stilare una lista delle cause più frequenti. Analizzando nel dettaglio la parabola di quel centinaio di aziende, la società di consulenza ha raccolto qualche tempo fa in un lungo elenco le venti ragioni fondamentali per cui quelle scommesse non sono risultate vincenti.
Le venti cause
Vediamo con ordine quali sono, pur considerando che ovviamente a portare una realtà al fallimento può essere anche una combinazione di queste ragioni. Nel 42% dei casi, comunque, il punto centrale è stato proprio il mercato: i prodotti o i servizi non sono stati ben accolti, insomma non c’era alcun bisogno o non è stato fatto un lavoro adeguato per crearlo o sottolinearlo. Nel 29% dei casi, invece, il problema è apparso legato ai finanziamenti: troppi pochi fondi per sviluppare l’idea come sarebbe stato necessario per farla crescere. Un buon Cfo, anche all’inizio, è sempre cosa buona e giusta.
Non siamo una squadra fortissimi
Nel 23% dei casi, invece, è stato il team giusto a non esserci. Insomma, la costruzione della squadra – vuoi per competenze specifiche vuoi per incompatibilità caratteriali – non ha funzionato. Cosa che, nel 19% delle situazioni, ha pure prodotto un sorpasso da parte di concorrenti o epigoni arrivati più tardi ma magari sbarcati sul mercato prima e meglio, facendo piazza pulita. Sempre occhio ai copioni. Se per il 18% le ragioni sono state di prezzo e in generale di costi, nel 17% il prodotto – magari azzeccato nel concept – si è rivelato non adeguato nella sua realizzazione. Non è piaciuto ai clienti, che non lo hanno trovato “user friendly”. Nella stessa percentuale dei casi era invece il business plan a essere sballato, per cui la prospettiva di vita dell’azienda in erba si è rivelata molto breve, e nel 14% dei casi gli investimenti in comunicazione e marketing non sono stati all’altezza, non sono cioè riusciti a sostenere il lancio del prodotto o servizio. Ecco perché conviene sempre affidarsi a bravi professionisti o agenzie rodate.
Dal feedback dei consumatori al “burnout”
A scendere, si passa dal 14% di chi ha ignorato l’opinione e il feedback dei consumatori e l’ha pagata carissima al 13% di chi, in corso d’opera, ha perso il focus della sua impresa, è andato insomma fuori tema disperdendo tempo e risorse, senza dimenticare il 13% che ha segnalato scarsa armonia nel team e con gli investitori o, nel 9%, “poca passione”, per quel che significhi. Curioso che nel 10% dei casi il pivot, cioè un cambio di strategia e di prodotto ragionato a seguito di una modifica del contesto, sia andato male. A scalare si segnalano, sotto al 10%, ragioni come lo scarso interesse degli investitori, magagne legali e pure una sorta di “esaurimento” delle energie in una squadra troppo piccola. Meglio non esagerare.