Abbiamo sentito Andrea de Cesco, giornalista ed esperta del settore
«Il problema della disinformazione è centrale per i podcast. Al momento non ci sono tecnologie di fact checking per contrastare determinati contenuti». StartupItalia ha raggiunto al telefono Andrea de Cesco, giornalista ed esperta di podcast oltre che autrice di una newsletter verticale sul mondo dell’audio (Questioni d’Orecchio). Da settimane il caso Spotify e Joe Rogan ha aperto un dibattito su fake news e podcast, con la stessa multinazionale guidata da Daniel Ek costretta a correre ai ripari per reagire di fronte a tanti utenti e non pochi artisti che chiedevano una reazione netta di fronte a determinate considerazioni su vaccini, covid (e non solo) pronunciate da diversi ospiti in vari episodi del podcaster più famoso al mondo. Vi abbiamo riassunto la vicenda in questo articolo. Proprio in queste ore è inoltre circolata la notizia che l’accordo di esclusiva con cui Spotify si è aggiudicata The Joe Rogan Experience non sarebbe stato di 100 milioni di dollari, ma per una cifra almeno doppia. Cerchiamo dunque di capire insieme a che punto siamo per l’universo podcast, tra investimenti in tecnologie, modelli di business e scenari per gli utenti.
Da grandi poteri…
«Non c’era mai stata una reazione così forte da parte del pubblico. Con il caso Joe Rogan è davvero la prima volta in cui un podcast suscita un simile scandalo». Per quanto siano anni che si parla del trend come di un fenomeno esploso, in realtà secondo de Cesco saremmo soltanto alla vigilia della loro diffusione di massa, soprattutto in Italia. «Come si dice: da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Per i podcast è arrivato quel momento». A livello globale è Spotify a dominare la scena, con gli altri competitor come Amazon Music e Apple Podcasts che inseguono con altrettanti contenuti in esclusiva e l’obiettivo di aggredire un mercato in continua crescita. Sia dal punto di vista giornalistico, sia in generale dell’intrattenimento.
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La vicenda Joe Rogan ha anche consentito di tornare a ragionare sul ruolo delle Big Tech. Poco più di un anno fa si parlava di social network come di editori di fronte alle loro scelte drastiche prese nei confronti dell’ex presidente USA, Donald Trump, bannato per sempre da Twitter&Co. Dunque anche Spotify si dovrebbe configurare come editore, ovvero responsabile dei contenuti che circolano sull’app? «Se paghi una persona per pubblicare un’esclusiva, allora sei l’editore», è l’opinione netta della giornalista che si è espressa proprio in merito all’accordo con Joe Rogan.
Il Joe Rogan brasiliano. Licenziato
Difficile che Spotify possa fare a meno di Joe Rogan. Questo non significa che non si possano contrastare fake news e disinformazione là dove circolano attraverso i podcast. Il caso più eclatante è quello di Bruno Monteiro Aiub, noto come Monark, tra i podcaster più famosi del paese sudamericano. La sua vicenda è stata riassunta dalla stessa de Cesco in un podcast. Di recente Monark ha detto che dovrebbe esistere un partito nazista, rivendicando una sorta di diritto all’antisemitismo. Considerazioni talmente gravi da costargli il licenziamento dalla società di podcast che produce il suo programma.
Il nodo monetizzazione (per i podcast)
Nella nostra intervista a de Cesco è emerso che le tecnologie al momento disponibili non consentirebbero un controllo a tappeto di tutto quello che circola nelle librerie podcast. Un po’ come succede per i social network, le piattaforme si possono difendere dicendo che è impossibile controllare tutto quello che viene pubblicato. In attesa di capire i prossimi sviluppi su questo versante, analizziamo ora un’altra questione fondamentale per il futuro dei podcast e dei podcaster: la monetizzazione. Quanto si guadagna pubblicando su Spotify, per esempio?
«Per i musicisti ci sono accordi: Spotify deve dar loro una percentuale, comunque bassa, per le varie royalty sulla base di ogni stream. Per i podcast, invece, non esiste nulla di tutto questo. Ecco perché per Spotify è molto più conveniente puntare su questi e non sulla musica. Con i podcast la monetizzazione deriva dalla pubblicità». Dal momento che nelle scorse ore la stessa società ha annunciato due importanti operazioni in ambito advertising, con l’acquisto di due aziende specializzate, abbiamo infine chiesto a de Cesco quali sono gli scenari della pubblicità su questo mezzo di comunicazione. «La pubblicità podcast funziona molto meglio rispetto a quella nei video. Fra ascoltatori e podcaster si crea relazione e fiducia. E questo fa sì anche la pubblicità trasmessa in un episodio venga percepita come di valore».