Un mesto viaggio grondante emozioni negative, amara denuncia delle storture della società moderna
Con ogni probabilità, i ragazzi del collettivo indipendente norvegese Krillbite Studios non hanno mai sentito parlare di Fantozzi, il meraviglioso personaggio ideato dal compianto Paolo Villaggio, che in Italia, soprattutto grazie alla serie cinematografica tratta dai romanzi, è diventato emblema dell’impiegato vessato non solo dal proprio datore di lavoro, ma dalla vita, dal modo di intendere la società moderna. Eppure, giocando a Mosaic non si può non pensare alle disavventure del ragionier Ugo “Fantocci”. O a Essere John Malkovich, con cui l’opera scandinava condivide trovate assurde e grottesche.
Un simulatore di vita grigia
In Mosaic, videogame a dir poco atipico, dalla durata di appena un paio d’ore e poco più, si interpreta un grigio impiegato senza nome e senza volto, immerso in una routine quotidiana altrettanto grigia che lo porta a vivere una grigia esistenza. L’insistenza sul colore “grigio” è voluta: la palette cromatica del gioco è tutta in toni di grigio, per rimarcare anche visivamente e stilisticamente lo squallore dell’esistenza del proprio alter ego, impegnato a trascinarsi tutto solo per quartieri affollati e uffici brulicanti di operai in cui però nessuno lo degnerà di uno sguardo. Inutile attendersi un sorriso.
Come se fosse un grido in cerca di una bocca
Avete presente l’Urlo di Edvard Munch? Saranno le radici comuni (anche il pittore, come gli sviluppatori, era di origini norvegesi), fatto sta che il titolo di Krillbite Studios è una sorta di versione ludica di quell’opprimente dipinto che con poche, decise, pennellate denunciava l’isolamento umano causato dalla società contemporanea. Allo stesso modo Mosaic con pochi, squadratissimi, poligoni privi di texture riesce a far provare al giocatore una fortissima sensazione di solitudine nonostante lo schermo sia spesso affollato da decine di personaggi.
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Presenze evanescenti come fantasmi, figure appena abbozzate, ricurve sui propri smartphone, ormai incapaci di provare qualsiasi emozione. Come se fosse un grido in cerca di una bocca, cantava Giorgio Gaber. Giocando a Mosaic si vorrebbe urlare, prendere fiato dall’operosa quotidianità di una società sempre meno umana, sempre più simile a un alveare che travolge ogni parvenza di generosità e soffoca ogni sentimento.
Solo il nostro grigio impiegato sembra consapevole del fatto che la vita possa essere ben altro rispetto al susseguirsi di una lunga, interminabile, sequenza di giornate senza palpiti, intrappolati in una versione metropolitana del film Ricomincio da capo (Groundhog Day). E allora ecco che è l’unico ad accorgersi dei pochi guizzi di colore che rendono un po’ diversa una cupa giornata di pioggia, come le gradazioni di rosso di un tramonto o l’arancione di una farfalla che di colpo attraversa il cielo.
E poi ci sarà un pesce rosso, unico compagno di vita. Anzi, unico interlocutore. Il nostro con il proprio pesce rosso finirà infatti per parlare. Impossibile dire se l’animale esista davvero o sia frutto della sua/nostra disperazione, ma sarà il solo personaggio con cui potremo interagire nel corso delle cinque giornate virtuali che vivremo nei panni del triste colletto bianco.
E il gameplay?
A questo punto vi starete domandando cosa, pad alla mano, dovrete fare nell’onirico titolo di Krillbite Studios. Legittimo. Effettivamente, Mosaic, nella sua atipicità, presenta anche regole di ingaggio a dir poco anomale, sospese tra l’avventura punta-e-clicca (avete presente Monkey Island?), le storie a bivi e i puzzle game.
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In realtà ogni elemento è così diluito che difficilmente si può individuare una appartenenza a un genere di riferimento. È persino ostico dire che Mosaic sia un gioco: dura all’incirca tre ore – troppo poco per un videogioco, troppe per un film – durante le quali più che parte attiva vi sentirete elemento passivo alle prese con una realtà virtuale che mirerà a soverchiarvi.
Un viaggio, una raccolta di emozioni. La sua staticità non piacerà a tutti, ma chi cerca un’opera diversa dal solito, malinconica e profonda, troverà in Mosaic un piccolo, grande divertissement e potrà passare sopra un frame rate ballerino e una compenetrazione poligonale talvolta fin troppo grezza. Ma la produzione norvegese dà il meglio di sé più che sul lato tecnico sul fronte artistico, complice un comparto sonoro davvero meritevole. Non per tutti i palati, ma da provare.