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Intervista a Enrico Giovannini, portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, che il 9 novembre interverrà all’evento conclusivo del progetto “Biotech, il futuro migliore – Per la nostra salute, per il nostro ambiente, per l’Italia”
Cosa occorre per raggiungere uno sviluppo pienamente sostenibile? Un’“economia digicircolare”, che sappia intrecciare in modo virtuoso digitale e circolarità. Perché senza tecnologia, governance e un cambiamento culturale, non si può compiere davvero un salto verso la sostenibilità. A sottolinearlo, senza mezzi termini, è Enrico Giovannini – economista, fondatore e portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) – uno dei tanti ospiti illustri, che il 9 novembre parteciperà al grande evento finale del progetto “Biotech, il futuro migliore – Per la nostra salute, per il nostro ambiente, per l’Italia”, promosso da Assobiotec Federchimica in partnership con StartupItalia.
Appuntamento al 9 novembre
“Biotech, il futuro migliore” è un progetto che, tra giugno e ottobre, ha previsto quattro appuntamenti preparatori a un grande evento finale, il 9 novembre 2020, che potrete vedere – dalle 14.30 alle 18.30 – sia sul sito di Assobiotec che sui canali social di Assobiotec (Facebook e LinkedIn) e di StartupItalia (Facebook, LinkedIn e Youtube). L’evento costituirà l’occasione per presentare un Piano e un Documento di Posizione – condivisi con le Istituzioni – con proposte operative per la crescita e lo sviluppo del settore, da mettere a disposizione del Governo italiano, per valorizzare la filiera del biotech e, dunque, disegnare il futuro di un’Italia più in salute e più sostenibile.
Giovannini, in particolare, interverrà – insieme ad altri importanti ospiti – nella parte dedicata alla ripartenza sostenibile del Paese, grazie soprattutto alla bioeconomia. Abbiamo intervistato il Professore per introdurci ai temi che verranno trattati nel suo intervento.
Intervista a Enrico Giovannini
StartupItalia: Secondo il presidente di Assobiotec Federchimica, Riccardo Palmisano, una delle lezioni da trarre da questa pandemia è che “non è più possibile disgiungere la salute individuale dalla salute del pianeta che ci ospita”. Professore, secondo lei, cosa ci ha insegnato questa emergenza sanitaria?
EG: Di sicuro, quella che ha detto il presidente Palmisano è una delle lezioni da imparare. Del resto, abbiamo capito che l’approccio “One Planet, One Health”, perseguito ormai da vari anni dall’OMS, non è solo uno slogan, ma riguarda ciò che stiamo vivendo in questo periodo: come ha detto il Papa, non possiamo vivere sani in un pianeta malato. Un concetto che finalmente ha fatto breccia in tante persone e, dunque, è l’occasione per pensare a una ripartenza che non ci faccia tornare indietro a dove eravamo solo pochi mesi fa, ma ci permetta di compiere il salto di qualità verso uno sviluppo pienamente sostenibile, da tutti i punti di vista: economico, sociale e ambientale. E, quindi, istituzionale. Proprio come propone l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, il programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.
SI: Buona parte dei fondi stanziati attraverso il Next Generation EU – il nuovo strumento della Commissione europea per rilanciare la ripresa in Europa, con una dotazione di 750 miliardi di euro – sarà indirizzato a favore del Green Deal europeo. A livello italiano, come possono essere utilizzati al meglio i fondi destinati all’Italia per rendere il Paese più sostenibile?
EG: In primo luogo, serve dotarsi di una buona governance, per realizzare sia il processo di disegno, attuazione e valutazione dei risultati, sia i contenuti. Perché non dobbiamo dimenticare che, oltre alla facility per la ripresa e la resilienza, ci sono anche gli altri fondi europei, che ammontano complessivamente a circa 70 miliardi di euro. Sono fondi, tra cui quelli strutturali, da allineare ai fondi del Next Generation EU. Quindi, davanti a noi si presenta una sfida straordinaria, soprattutto per un Paese disabituato da molti anni, se non decenni, a programmare il proprio futuro. Una sfida a tutti i livelli, perché riguarda non solo lo Stato, ma anche le Regioni e i Comuni. I tempi per svolgere questa pianificazione integrata non sono lunghi: per questo, abbiamo bisogno di accelerare e di fare bene, perché le relative linee guida europee sono molto stringenti e l’Italia, purtroppo, non è abituata a fare questo tipo di attività.
SI: Fin qui, la governance. E per quanto riguarda i contenuti?
EG: Dovrebbero essere definiti sulla base di una visione dell’Italia al 2030, che purtroppo non abbiamo a livello di Paese. Non a caso, da tempo, sollecitiamo il governo a creare un istituto di studi per il futuro: un istituto che aiuti le istituzioni pubbliche a immaginare come dovrebbe essere il nostro futuro, dando indicazioni su come sfruttare le opportunità ed evitare i rischi, per prendere decisioni mirate, ma in un’ottica sistemica. Il nostro Paese non è abituato a fare tutto questo.
SI: Gli altri paesi, sì?
EG: Sì. Questo è uno dei ritardi che stiamo pagando nella situazione che stiamo vivendo, ma che speriamo si possa realizzare al meglio nei prossimi mesi.
SI: Professore, oggi le rivoluzioni sono quelle del digitale e della bioeconomia. Allora, come è possibile integrare al meglio digitalizzazione, bioeconomia ed economia circolare, in un’ottica di sostenibilità?
EG: Questa è la sfida fondamentale che affrontiamo da anni, perché le nuove tecnologie non sono solo quelle digitali, ce ne sono tante forme diverse, comprese quelle che riguardano i materiali. L’innovazione dei materiali, soprattutto negli ultimi anni, ha registrato uno sviluppo straordinario, e l’Italia, tra l’altro, è all’avanguardia rispetto ad alcuni processi: basti pensare alle bioplastiche, ma non solo. Ormai sappiamo che un cambiamento radicale avviene quando si riescono a integrare tecnologie apparentemente lontane in modo nuovo, in maniera tale da produrre delle vere e proprie non linearità, dei salti. È per questo che abbiamo bisogno di programmazione, quella che una volta si chiamava politica industriale, spingendo non solo sugli incentivi alla ricerca, ma anche al trasferimento tecnologico, dove noi registriamo ancora delle pratiche un po’ arcaiche: pensiamo, invece, a quello che in Germania è l’istituto per il trasferimento tecnologico alle PMI. In altri termini, ci sono dei modelli da cui imparare e sarebbe opportuno farlo al più presto.
SI: Insomma, per fare un salto, dobbiamo puntare all’“economia digicircolare”, un’espressione coniata proprio da lei.
EG: Come ho sostenuto nel mio libro “L’utopia sostenibile”, che ormai ha quasi 3 anni, ci sono tre ingredienti per compiere un salto verso uno sviluppo sostenibile: la tecnologia, un cambiamento di cultura rispetto agli stili di vita e al modo di produrre, e la governance. La tecnologia è assolutamente indispensabile, perché senza un salto tecnologico, ad esempio, non riusciremmo a sfamare tutti senza distruggere il pianeta. Il cambiamento di cultura deve coinvolgere consumatori e produttori, perché è fondamentale sia per imparare a scegliere prodotti e servizi con un basso impatto sull’ambiente, sia per produrre con un impatto ambientale e sociale migliore. E poi c’è la governance.
SI: Una questione ricorrente…
EG: È indispensabile. Senza dubbio, l’economia digicircolare è il salto di cui abbiamo bisogno, e questo non significa semplicemente domandarsi cosa fare dei rifiuti una volta prodotti, ma disegnare prodotti che possano essere riutilizzati più volte nei cicli produttivi.
SI: Perché il legame tra digitale e circolare?
EG: Faccio un paio di esempi per rendere subito comprensibile questo legame. Se pensiamo ai copertoni delle auto, è possibile inserire un chip non solo per farci dire quando sono prossimi all’usura ed è necessario sostituirli, ma anche per ritrovarli se smaltiti in maniera scorretta: un modo, quindi, per fare manutenzione predittiva e, allo stesso tempo, per gestire al meglio i rifiuti, specie quelli dal particolare impatto ambientale. Un altro esempio può riguardare quello che sta avvenendo in questa pandemia, sotto il profilo dei consumi: molte persone si stanno rivolgendo alle piattaforme online per ordinare beni che prima acquistavano nei negozi, ma se non c’è una catena logistica che gestisce questo processo in modo sostenibile sul piano ambientale, magari avremo fatto dei passi avanti in un verso, ma sicuramente indietro in un altro.
SI: Insomma, digitale e circolare devono andare avanti insieme, di pari passo.
EG: Sì. Mai come oggi è fondamentale. Per questo siamo lieti che il Governo Conte abbia recepito nella legge di bilancio per il 2020 la nostra proposta, che era rimasta lettera morta per 3 anni.
SI: Quale?
EG: Dare incentivi alle PMI per investire simultaneamente nell’industria 4.0 e nell’economia circolare.