Anche la società di consulenza e ricerca economica vede nerissimo per il nostro Paese
Alla lista delle Cassandre, dopo il temibile report redatto da Bruxelles (che ci individua come grande malato d’Europa, anche dal punto di vista economico), si aggiunge oggi il rapporto di Prometeia. Anche l’analisi della società di consulenza e ricerca economica si accoda alla lista di analisti che vedono nerissimo per l’Italia: prevede infatti una contrazione del prodotto interno lordo italiano nel 2020 del 10,1%, con un recupero davvero poco significativo nel ’21, dato che il rimbalzo rischia di essere solo del 5,9%. Fin qui le stime del report si allineano a quelle già pubblicate da enti istituzionali e agenzie di rating. Dove differiscono, in negativo, è nelle previsioni a lungo termine: ci vorrà almeno un lustro per ritornare ai livelli pre-coronacrisis, livelli peraltro non ottimali, dato che la nostra economia singhiozzava già da tempo.
Cosa dice il report Prometeia
Sintetizzando, il rapporto prevede che:
- Il rapporto deficit/Pil 2020 si attesterà all’11% e il debito/Pil al 159%. Lo stimolo fiscale, che Prometeia stima nell’anno in corso in circa 5 punti percentuali di Pil, non sembra tuttavia sufficiente per riavviare in modo deciso i consumi e gli investimenti, ma si sta traducendo anche in un forte aumento delle disponibilità liquide di famiglie e imprese.
- All’interno dell’area euro (Pil 2020: -8,1%) aumentano le divergenze economiche tra Paesi, nonostante le risorse senza precedenti messe in campo da Bruxelles (Mes, Sure, fondi Bei, Next Generation Eu). Nel 2020 Pil mondo -5,2% e commercio internazionale in calo del 14,4%. Lo sfasamento nell’andamento ciclico dei Paesi può rallentare la ripresa.
- Proseguono le tensioni tra Cina (Pil 2020: +0,6%) e Stati Uniti (Pil 2020: -5,7%) non solo sul fronte del commercio ma anche su quello degli investimenti diretti.
Il focus sull’Italia
Venendo ora sulla situazione economica italiana: “Dopo l’emergenza – si legge nello studio -, l’Italia tenta di tornare alla normalità ed è entrata in una fase di convivenza con il virus. Con una recessione nel secondo trimestre di portata storica (-12,9%), Prometeia stima per l’intero 2020 una caduta del prodotto del 10,1%. In una fase di grande incertezza, che influenza in modo negativo la propensione al consumo e all’investimento, la risposta della politica fiscale (5 punti percentuali di Pil nel 2020) è stata in linea a quella degli altri Paesi europei. Tuttavia non sembra in grado di riavviare in modo deciso la domanda interna, frenata anche dalla forte incertezza che ancora pervade le aspettative degli operatori e dal crollo del commercio internazionale. Tutto ciò si sta traducendo anche in un forte aumento delle disponibilità liquide di famiglie e imprese”.
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“Alla peggiore recessione mai registrata in tempi di pace -stima il report -, seguirà un rimbalzo il prossimo anno, via via che tutte le attività economiche (compreso il turismo e l’intrattenimento) potranno tornare a livelli normali di operatività e, con esse, l’occupazione e il reddito degli operatori più colpiti. Le misure di policy introdotte, certamente tempestive, ampie e innovative, stanno aiutando e aiuteranno a contenere i costi di questa crisi ma, nel caso del nostro paese, già gravato da un elevatissimo debito pubblico, non sembrano sufficienti né a impedire la flessione nel 2020 né a sostenere successivamente un rimbalzo in grado di compensare la recessione: Prometeia prevede che solo nel 2025 il Pil potrà ritornare ai livelli pre-Covid. In sintesi, la fase del superamento vedrà il nostro paese con un livello di attività economica inferiore a quello pre-crisi, con meno occupazione, con un livello di risparmio delle famiglie più elevato e di debito delle imprese non finanziarie e del settore pubblico più alto”.
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“Più in generale – proseguono gli analisti Prometeia -, con un aumento delle disparità a molti livelli, nella distribuzione funzionale e personale del reddito, tra i generi e le classi di età, tra settori produttivi e territori: a farne le spese in misura maggiore le piccole imprese e i lavoratori autonomi e meno istruiti. In questo contesto, gli interventi massicci della Bce sono stati essenziali nella fase acuta della crisi ma non possono risolvere problemi strutturali. In questa direzione un’opportunità da non sprecare arriva dall’inedita possibilità di accedere a fondi pubblici potenzialmente ingenti e a condizioni molto favorevoli. Se indirizzate in modo corretto verso le ben note aree di fragilità della nostra economia (dalla sanità ai servizi per la “silver economy”, dalla scuola alle infrastrutture), queste risorse potrebbero far fare all’Italia quel salto di produttività, e dunque di crescita, che manca da ormai 25 anni”.