Secondo il Politecnico di Milano, le PMI valgono la metà del fatturato nel Made in Italy, ma il 16% vede il digitale come un costo
Piccole e medie imprese: sono linfa vitale del tessuto imprenditoriale italiano ma il 16% di queste considera la digitalizzazione ancora come un costo. E’ quanto emerge dai risultati dell’Osservatorio “Innovazione Digitale nelle PMI” della School of Management del Politecnico di Milano, presentati in occasione del convegno “Innovazione digitale nelle PMI: uno, nessuno…ecosistema!”, che rivela che il 58 % delle grandi PMI ha detto di avere adottato, o di essere interessata, a soluzioni per ridurre l’impatto energetico mentre il 61% ha introdotto, o si propone di introdurre, pratiche di Corporate Social Responsibility.
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PMI: più digitali o più conservatrici?
In Italia il digitale è un punto di forza per le PMI “large” (quelle che vantano un fatturato sopra i 50 milioni di euro o un numero di dipendenti superiore a 250), ma se il 71% di queste mostra un profilo “convinto” o “avanzato”, rispetto al 50% del totale delle PMI, il digitale è considerato come un costo dal 2% delle medie imprese rispetto al 16% di quelle più piccole.
Se il 61% delle PMI large considera il digitale come strumento cardine per costruire il futuro dell’azienda, è solo il 35% di quelle più piccole ad essere dello stesso parere. In entrambe le categorie, però, risulta ancora carente l’attività di formazione svolta per i dipendenti e per il management. “Circa 250mila PMI sono in grado di produrre intorno al 40% del fatturato nazionale e di assorbire oltre il 30% della forza lavoro: numeri che fanno comprendere non solo l’importanza del ruolo giocato dalle PMI in Italia, ma anche l’attenzione che il Paese deve loro dedicare per salvaguardare questo patrimonio economico e sociale – dichiara Claudio Rorato, direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI – Prima di parlare dei singoli, però, dobbiamo parlare di responsabilità del sistema: troppo spesso si discute sull’arretratezza delle imprese, sulla scarsa cultura digitale degli imprenditori, su visioni poco evolute. L’imprenditore, per la sua stessa estrazione, prevalentemente tecnica, si concentra più sul prodotto che sulla gestione e la programmazione, più sulla quotidianità che sulla pianificazione e la gestione del cambiamento. Ecco, allora, che le associazioni di categoria, le filiere, le supply chain, gli istituti finanziari, la classe politica, la pubblica amministrazione, gli hub territoriali per lo sviluppo digitale devono fare la loro parte per creare le condizioni che permettano di fare impresa. Solo a quel punto, le responsabilità individuali di fare o non fare potranno essere attribuite alle singole organizzazioni”.
Food, fashion, design: le PMI del Made in Italy
La ricerca dell’Osservatorio del Politecnico di Milano ha preso in considerazione tre settori cardine del made in Italy: l’agro-alimentare, il più numeroso, con 54mila imprese attive (3,9% della numerica di comparto), di cui le PMI rappresentano il 49% del fatturato complessivo di filiera (pari a circa 192 miliardi di €) con una media di 3,5 milioni di euro per ogni realtà, ed evidenzia una forte vocazione verso la micro-dimensione con una media di circa 18 addetti per impresa; l’arredamento, che vede 8mila PMI attive (5,7% del comparto) ed esprime la dimensione più elevata sia a livello di fatturato, rappresentando la metà degli oltre 37 miliardi dell’intera filiera (con una media di 4,3 milioni di euro per ogni realtà) che in termini di addetti medi per impresa (23); la moda, che presenta 19mila imprese attive con un fatturato medio di 3,9 milioni di € (54% degli oltre 73 miliardi del comparto) e circa 22 addetti per impresa. “L’importanza del ruolo giocato a livello economico e sociale da parte delle PMI merita la massima attenzione da parte del sistema Paese, che deve fare la sua parte: solo in questo modo si può affrontare il problema nella sua interezza e indagare le ragioni profonde dietro all’andamento digitale delle imprese. Per attivare meccanismi di contaminazione ed emulazione tali da allargare la base digitale è necessario, da un lato, adottare un approccio per filiere che tenga conto anche delle PMI Large, mentre dall’altro gli hub territoriali di innovazione devono collegarsi maggiormente tra loro e con la rete relazionale del territorio” aggiunge Federico Iannella, Ricercatore Senior Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI.
Chi affianca le PMI in Italia?
Secondo i dati emersi dall’Osservatorio del Politecnico di Milano sono quattro le diverse tipologie di enti che hanno la missione di guidare e affiancare le PMI in un percorso solido di trasformazione digitale. Tra questi:
- I Digital Innovation Hub (DIH): sono 23 in Italia e svolgono il ruolo di promotori dell’evoluzione digitale, attraverso attività di sensibilizzazione e formazione sulle nuove tecnologie e sulle opportunità esistenti;
- I Punti Impresa Digitale (PID) sono strutture localizzate presso le Camere di commercio. Nati nel 2016, sono oggi 88, punto di riferimento territoriale per attività di formazione e informazione, sia a livello di policy/incentivi/opportunità attivate dal Governo, sia per approfondimenti su specifiche tecnologie e loro applicazioni;
- L’Innovation Manager (IM), figura introdotta con la Legge di bilancio del 2019, rappresenta un punto di contatto tra le PMI e gli enti pubblici a supporto dei processi di innovazione digitale, fungendo spesso da tramite per l’erogazione di servizi tra gli Hub di innovazione e le PMI stesse. Oggi sono circa 8mila gli Innovation Manager iscritti alle liste MISE, anche se in realtà non tutti operativi su progetti di innovazione;
- I Competence Center (CC) costituiscono l’infrastruttura «hard» della rete, a supporto del trasferimento tecnologico in chiave Industria 4.0. I CC presenti sul territorio italiano, nati tra il 2018 e il 2020, sono 8, ciascuno specializzato su ambiti tecnologici specifici e complementari. Rappresentano l’ultimo ente a cui approdano le imprese nel loro tragitto di innovazione, e si concentrano sulle attività più collegate al lancio e accelerazione di progetti innovativi e di sviluppo, attraverso la sperimentazione pratica delle tecnologie (con live demo e test before invest), la produzione “in vivo” degli strumenti di Industria 4.0 e la raccolta di best practices per l’implementazione della trasformazione tecnologica.