Un insegnante canadese ha sviluppato un metodo di insegnamento che scompone un problema in tanti piccoli segmenti. E ha dimostrato che anche gli studenti più restii possono appassionarsi alla materia
E’ una delle materie più temute dagli studenti, la voce della pagella che rappresenta in molti casi la nota dolente dell’anno scolastico. Eppure non dovrebbe essere così: la matematica non è poi così difficile da imparare. Almeno secondo John Mighton, professore di matematica canadese che ha sviluppato un programma di insegnamento che ha trasformato quelli che sembravano casi disperati in ottimi studenti, diventati addirittura appassionati della materia.
Il metodo Jump Math
Si chiama Jump Math, ed è utilizzato da 15 mila bambini in otto diversi Stati americani, da più di 150 mila in Canada e da circa 12 mila in Spagna. Un’idea talmente brillante da aver fatto ottenere nel 2012 a Tracy Solomon e Rosemary Tannock, scienziati cognitivi dell’Università di Toronto, un finanziamento da 2,75 milioni di dollari da parte del Dipartimento dell’Istruzione per condurre un esperimento che ha coinvolto .100 bambini in 40 diverse aule. I risultati di questo studio, che usciranno quest’anno, dovrebbero confermare quanto già rivelato da una precedente indagine dei ricercatori: gli studenti che imparano con il metodo Jump imparano al doppio della velocità rispetto a quelli che studiano con il metodo tradizionale. Una tecnica che sarebbe quanto mai utile e necessaria anche in Italia, dove gli ultimi dati del test PISA (Program for International Student Assessment) hanno dimostrato che in matematica i quindicenni del nostro Paese sono appena in linea con i coetanei europei, almeno secondo la media Ocse, che prende in considerazione 540 mila studenti in 72 nazioni. In media, ma molto lontani dalle eccellenze di Estonia, Olanda, Slovenia, Danimarca e Germania.
Restituire il senso del reale
Come funziona il metodo Jump? Mighton ha individuato due grossi problemi nel modo in cui viene insegnata la matematica. Prima di tutto, si tende a sovraccaricare il cervello dei ragazzi, passando troppo velocemente dal concreto all’astratto. Secondo aspetto, si dividono le classi secondo le capacità dei ragazzi, creando gerarchie che non aiutano né i più bravi né chi ha maggiori difficoltà di apprendimento. «Le lezioni si basano su problemi che possono essere risolti seguendo una regola o una formula generale – spiega Mighton – come ‘calcola il perimetro di un rettangolo lungo cinque metri e largo quattro’, anziché su problemi che si possono trovare nella vita reale, come ‘usando sei piastrelle quadrate, costruisci un terrazzo dal perimetro più corto possibile’». Il ruolo dell’insegnante non è più quindi quello di dare istruzioni dirette, ma di far collaborare i ragazzi per trovare soluzioni a problemi reali, che possono avere approcci e soluzioni diverse. Meno ansie e frustrazioni per gli studenti, ai quali viene lasciato il tempo e soprattutto l’immaginazione per arrivare alla soluzione più giusta.
Salire la scala un gradino alla volta
Altro pilastro su cui si basa questo tipo di insegnamento è quello della scomposizione del problema in tanti piccoli problemi più piccoli, da affrontare singolarmente prima di passare al quadro generale: «Molti professori si approcciano ai ragazzi facendogli capire che per andare da A a B siano necessari solo tre passaggi, in realtà ce ne possono essere cinque o sei diversi» spiega Nikki Aduba, che ha aiutato Mighton nei test nelle scuole. Piccoli passaggi, tutti necessari per arrivare alla soluzione. Aggiunge Mighton: «Non vado mai avanti se qualcuno non ha assimilato un passaggio. La matematica è come una scala, se manchi un appoggio è difficile poi recuperare e riuscire a salire. Il vantaggio di questo metodo è che restituisce fiducia in sé stessi agli studenti, all’improvviso si rendono conto che anche loro sono in grado di comprendere la materia». Uno dei possibili problemi che sono stati imputati a questo sistema di insegnamento è quello delle gerarchie. Molti professori danno per scontato che nelle loro classi ci sia una curva di apprendimento a forma di campana: il 20 per cento della classe ha risultati negativi, un altro 20 per cento ha risultati ottimi e il restante 60 si attesta nella media. Gerarchie che tendono a cristallizzarsi e a non permettere un miglioramento generale verso l’alto. Il metodo JUMP, al contrario, facilita un innalzamento del livello, proprio perché restituisce ai ragazzi la sensazione che la matematica sia una materia alla portata di tutti, non soltanto di quelli più “dotati” o “intelligenti”. In fondo non si tratta di una scoperta sensazionale, secondo Mighton: «La matematica è stata rappresentata come eccessivamente difficile, mentre studenti e docenti devono solo affrontarla nella manier giusta. Il problema dei matematici è che hanno un ego smisurato, quindi non hanno detto a nessuno che la matematica è facile – ha raccontato al World Economic Forum di Davos –. Invece i logici hanno dimostrato più di cento anni fa che può essere scomposta in segmenti più piccoli e semplici da apprendere».