Il progetto è stato promosso da un gruppo di scienziati per dimostrare che il territorio contaminato può continuare a vivere
“Loaded like a freight train, flying like an aeroplane, feeling like a space brain one more time tonight” cantavano i Guns ‘n Roses, band americana anni Ottanta, in Nightrain, tra i successi più famosi. La canzone era un inno dedicato al vino da pochi dollari che la band utilizzava per trascorrere serate ad alto tasso alcolico in quel di Los Angeles. Chissà cos sarebbe accaduto se Slash e compagni avessero conosciuto Atomik, la vodka prodotta con grano coltivato a Chernobyl: nella migliore delle ipotesi, avrebbe potuto uscirne un altro pezzo epocale.
Una vodka per dimostrare che Chernobyl può rinascere
In realtà, in questo caso il distillato è tutt’altro che a buon mercato: una bottiglia costa attorno ai cinquanta euro.
L’idea di produrre una vodka nel territorio tristemente noto per l’incidente dell’aprile 1986 è venuta tre anni fa a un gruppo di ricercatori ucraini e britannici che fanno capo all’università di Portsmouth. Obiettivo, dimostrare che anche da una terra maledetta può nascere qualcosa di buono. Il bollo dell’ateneo garantisce la cosa più importante: la vodka non contiene tracce di radioattività.
Inizialmente, il governo di Kiev ha fornito appoggio finanziario, ma il progetto ha dovuto imparare a camminare sulle proprie gambe. Nobile la finalità: almeno il 75% dei profitti, è stato spiegato sin da subito, sarebbero andati alla comunità locale: perché c’è ancora chi vive nelle aree contaminate, si è sempre rifiutato di lasciare casa e fatica a tirare avanti.
“Penso si tratti della bottiglia di distillato più importante del mondo, perché potrebbe aiutare il recupero economico delle comunità che vivono nelle zone abbandonate” aveva affermato all’epoca il professor Jim Smith, della School of Environment, Geography and Geosciences dell’Università di Portsmouth. “Molte migliaia di persone risiedono ancora nell’area, dove nuovi investimenti e uso della terra a scopi agricoli rimangono proibiti”.
La Chernobyl Spirit Company, questa la denominazione dell’impresa a vocazione sociale, ha già donato quindicimila sterline, cioè tutto quanto guadagnato fino a oggi. Ma la sfida va ben oltre il sostegno finanziario: è dimostrare che, con i trattamenti adeguati, anche le terre attorno a Chernobyl possono produrre grano non radioattivo e quindi garantire una fonte di sostentamento alla popolazione
Ma è davvero sicura?
Smith ha spiegato, infatti, che il suo team ha riscontrato una certa radioattività nel cereale appena dopo la mietitura: lo stronzio-90, ha affermato il docente, sarebbe leggermente al di sopra del “cauto” limite ucraino di 20 bequerel / kg.
Ma, dopo il processo di distillazione, l’unica radioattività che i ricercatori hanno potuto rilevare nel prodotto finale è il carbonio-14, misurato allo stesso livello che ci si aspetterebbe in qualsiasi alcolico del genere.
Non solo. Anche l’acqua, secondo i ricercatori, sarebbe sicura: gli scienziati hanno diluito l’alcol distillato con quella pompata dalla falda profonda sotto alla città di Chernobyl, 10 km a sud del reattore. “Ha una composizione chimica simile alle acque sotterranee nella regione francese dello Champagne – scrivono con una certa ironia – ed è risultata priva di contaminazione”.
Se la guerra sarà finita quando arriverà la prossima stagione del raccolto, Kyrylo Korychensky, ricercatore ambientale e membro del team di Atomik spera di portare avanti il progetto. Vive a Kiev con moglie e figli, e spera di ricominciare da dove aveva lasciato. “Credo che le persone lì avranno bisogno di soldi e aiuto, per far sì che l’incidente di Chernobyl non sia più la cosa peggiore accaduta a questo territorio”. C’è da augurarselo. Purtroppo non è possibile acquistare la vodka in Italia: al momento le spedizioni sono possibili solo verso il Regno Unito.