A soffrire la sete e il “peso” dell’assenza di servizi idrici soprattutto le donne. In futuro l’oro blu diverrà un bene sempre più prezioso, anche a causa dei cambiamenti climatici
Dopo l’Onu, anche l’Unesco lancia l’allarme sullo stato di salute del pianeta e della sua popolazione. E lo fa con il rapporto The United Nations world water development report 2019: leaving no one behind (qui il pdf), “Nessuno sia lasciato indietro” che sarà ufficialmente presentato in occasione della Giornata mondiale dell’acqua indetta per dopodomani, venerdì 22 marzo. I numeri registrati sono inquietanti: 2,1 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile e 4,5 miliardi non hanno servizi igienici sicuri.
Fonte: The United Nations world water development report 2019: leaving no one behind
Questa, almeno, era la situazione nel 2015, periodo oggetto dell’ultima rilevazione. Presumibilmente la situazione oggi sarà persino peggiorata. Sebbene l’Unesco riconosca che negli ultimi 15 anni sono stati fatti progressi, le emergenze globali come guerre e carestie, il progressivo concentramento della ricchezza in poche zone del mondo e i cambiamenti climatici, oggi fanno sì che una parte sempre più ampia della popolazione sia senz’acqua. E, quando c’è, non è potabile.
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Cosa dice il report Unesco sull’acqua
Secondo i dati dell’Unesco, sono i rifugiati la categoria più debole e maggiormente esposta alle crisi idriche. Nel 2017, conflitti e persecuzioni hanno costretto 68,5 milioni di persone a migrare altrove. Sarebbe come se, di colpo, ben più della popolazione italiana (siamo circa 61 milioni) si trasferisse. In media, 25,3 milioni di persone all’anno migrano a causa dei disastri naturali, numero raddoppiato rispetto ai primi Anni ’70. A causare queste diaspore non è solo la situazione geopolitica mondiale, ma anche il cambiamento climatico in atto. Sempre più evidente.
Fonte: The United Nations world water development report 2019: leaving no one behind
Le donne le più colpite
La metà delle persone che non hanno accesso all’acqua potabile vive in Africa. Nell’Africa subsahariana solo il 24% della popolazione può usufruire degli impianti igienici di base. Ma le diseguaglianze non finiscono qui. Il rapporto dell’Unesco pone infatti l’accento sul fatto che, dove l’oro blu scarseggia, siano soprattutto le donne a essere incaricate dell’approvvigionamento dell’acqua. In particolare, ragazze in età scolare. Lavoro che, oltre a essere massacrante dal punto di vista fisico, sottrae le giovani dalla scuola. Altre discriminazioni sull’accesso all’acqua dipendono dall’etnia, dalla religione e dalla lingua.
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Il racket dell’acqua nelle favelas
Nei Paesi in via di sviluppo le guerre per l’acqua sono già una realtà quotidiana. Nelle città più popolose, circondate da baraccopoli che crescono senza razionalità, mancano naturalmente fognature e allacciamenti idrici. Qui l’Unesco sottolinea il fatto che gli occupanti delle favelas vengono spesso taglieggiati dai fornitori dell’acqua e dagli autisti dei camion cisterna, con il risultato che pagano l’acqua più cara (da 10 a 20 volte di più) rispetto a chi abita nei quartieri ricchi.
Fonte: The United Nations world water development report 2019: leaving no one behind
Unesco: “A rischio il 45% del Pil globale”
“I numeri parlano da soli. Come mostra il rapporto, se il degrado dell’ambiente naturale e la pressione insostenibile sulle risorse idriche globali continueranno ai tassi attuali, il 45% del Prodotto Interno Lordo globale e il 40% della produzione globale di cereali saranno a rischio entro il 2050. Le disuguaglianze sono perciò destinate ad aumentare ancora”, ha affermato Gilbert F. Houngbo, presidente di UN-Water e Presidente del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo. “Il Rapporto 2019 – ha chiosato – dimostra la necessità di adattare gli approcci, sia nella politica che nella pratica, per affrontare le cause dell’esclusione e della disuguaglianza”.
Fonte: The United Nations world water development report 2019: leaving no one behind
Già oggi si combatte (e si muore) per l’acqua
Le crisi idriche e il mancato approvvigionamento sono già oggi alla base di un significativo numero di conflitti, come si legge nel rapporto dell’Unesco. “In un contesto segnato da un aumento della domanda (più 1% all’anno dagli anni’80) si è verificato un aumento significativo dei conflitti legati all’acqua. Tra il 2000 e il 2009, ne sono stati censiti 94. Tra il 2010 e il 2018, si è arrivati a 263“.
Fonte: The United Nations world water development report 2019: leaving no one behind
Se non si inverte questa tendenza, con l’aumentare della popolazione nelle zone povere del mondo (la popolazione africana, stimata oggi in circa un miliardo e 200 milioni di persone, è destinata a raddoppiare entro il 2050) e l’inasprirsi delle conseguenze dei cambiamenti climatici, in futuro sempre più conflitti saranno causati per guadagnare l’accesso all’acqua.
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L’accesso all’acqua è un diritto fondamentale
E dire che già oggi l’acqua dovrebbe essere di tutti. Nel 2010, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che riconosce come diritto umano – e, dunque, imprescindibile – “l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari”. Quattro anni fa, nel 2015, anche il diritto all’igiene è stato esplicitamente riconosciuto come un diritto fondamentale a sé stante. Ma tale distinzione non deve restare solo su carta.
Fonte: The United Nations world water development report 2019: leaving no one behind
Questi diritti, una volta riconosciuti, obbligano infatti gli Stati a garantire l’accesso universale all’acqua e ai servizi igienico-sanitari per tutti, senza discriminazioni, dando priorità ai più bisognosi. Medesima finalità è peraltro contenuta nell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 6 dell’Agenda 2030 dell’Onu che mira a garantire l’accesso universale entro il 2030. Anche i diritti, come gli acquedotti delle zone più povere del mondo, però, sembrano fare acqua da tutte le parti, lasciando i più poveri a bocca asciutta.