Proseguono le nostre interviste del lunedì alla scoperta dei protagonisti del settore VC. Oggi c’è il racconto di un business angel che ha girato il mondo intero. Intervista a Fabio Mondini de Focatiis, Founding Partner di Growth Capital
«Investendo da 16 anni in startup qualche idea me la sono fatta. L’ecosistema dell’innovazione in Italia oggi ha tutto, tranne la storia e l’esperienza degli ultimi dieci anni». Fabio Mondini de Focatiis è il founding partner di Growth Capital e in questa nuova puntata della nostra rubrica alla scoperta dei protagonisti del settore VC e investimenti siamo partiti dalle parole di Alberto Dalmasso, Ceo e Co-founder di Satispay, che in una recente intervista ha espresso critiche molto mirate. «Il sistema, pubblico e privato – ha spiegato l’ad dell’unicorno fintech – dovrebbe concentrare gli sforzi sui campioni, invece anche quando ha messo miliardi nel venture capital, l’Italia li ha distribuiti su tanti fondi e tantissime aziende». Su StartupItalia ci teniamo ad arricchire il dibattito, portando più voci possibili a ragionare sul presente e sul futuro del settore, cruciale per la crescita economica e la competitività. Mondini ha vissuto in giro per il mondo, lavorando in Enel e grandi società di consulenza. Dal Sudafrica agli USA, passando per Parigi e Londra. «In Growth Capital seguiamo operazioni di finanza straordinaria, M&A e fundraising. Abbiamo accompagnato l’unica azienda italiana al Nasdaq (Genenta, ndr)».
Come per tutti i profili che raccontiamo sul magazine partiamo dal contesto in cui è cresciuto il protagonista della puntata odierna. Classe 1968, Fabio Mondini de Focatiis è nato a Napoli, in una famiglia di ingegneri. «All’università ho scelto di seguire la tradizione di casa. Da giovane ho anche vinto le Olimpiadi di matematica. Poi ho proseguito gli studi al MIT di Boston». Ha trascorso gli anni Novanta in Sudafrica per Tamburini Group. «A 27 anni ero dirigente, ma mi sono presto reso conto che avevo ancora molto da imparare». A cavallo tra i due secoli è così passato in consulenza, entrando in McKinsey. «Lo dico sempre: in pratica è una scuola dove sei pure pagato». I primi periodi del nuovo millennio hanno significato un importante stress test per il panorama tech globale, generato dallo scoppio della bolla delle dot.com. Con quell’ambiente però Fabio Mondini non aveva ancora avuto modo di approcciarsi. In seguito è passato in Enel, una delle più importanti aziende italiane dove si è occupato del processo di internazionalizzazione del gruppo.
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Prima di fondare la sua prima startup ha fatto esperienza a Londra nell’ambito dell’head hunting in Russell Reynolds Associates. Nel 2009 ha fondato RenEn, aziende cleantech nata per sviluppare progetti di energia rinnovabile venduta poi nel 2011. Sono quelli gli anni in cui Fabio Mondini ha iniziato a fare il business angel, fiutando le opportunità dell’ecosistema europeo per trovare le migliori idee su cui puntare. «A un certo punto mi ha chiamato Soitec, scaleup che oggi vale 6 miliardi, dove mi sono occupato della divisione verticale sul solare: siamo riusciti a far crescere il fatturato annuo da 2 milioni a 45 milioni di euro». Nell’ultimo decennio Fabio Mondini ha vissuto parecchio in Francia, a Parigi, imparando a conoscere un ecosistema divenuto modello e punto di riferimento a livello internazionale. Più volte il Presidente Macron ha parlato di startup nation.
Dobbiamo sentirci per forza in difetto rispetto ai cugini d’Oltralpe? «Partirei dicendo che l’Italia ha vissuto tre fasi dell’ecosistema: la prima è stata di abbandono, fino al 2012, anni in cui investire in startup era visto come una roba strana; nella seconda fase sono iniziati a formarsi i primi ingranaggi, ma ancora con pochi fondi e pochi soldi; la terza fase ha avuto inizio tre anni fa e ha fotografato finalmente il Paese in una situazione di maturazione, con tutti gli strumenti a disposizione». Fabio Mondini ha dato un ordine di grandezza del terreno recuperato. «Negli ultimi tre anni abbiamo ridotto a metà il gap con Francia e UK rispetto ai capitali investiti. Nel 2020 la Gran Bretagna era 30 volte noi, oggi è 14; la Francia era 12 volte noi e oggi è sei». Sono senz’altro ecosistemi avvantaggiati anche perché, banalmente, sono partiti prima. A giudicare dai numeri ripresi dall’Osservatorio di Italian Tech Alliance e di Growth Capital il 2023 è stato un anno in chiaro scuro. «In Italia c’è avversione al rischio e al fallimento. In America se hai fatto due aziende andate male e riparti con la terza significa che hai imparato qualcosa».