Nel nostro longform domenicale intervista ad Alessandro Rimassa, autore de “Le 5 lenti dell’HR”. Riflessioni sul tempo passato in ufficio, ma anche su famiglia e crescita personale
Gli anni della pandemia, soprattutto i primi mesi, sono stati un banco di prova per le aziende. Si può fare. Lavorare tutti da remoto, dedicare più tempo alla famiglia e alle proprie passioni, evitarsi spostamenti (e costi annessi) ogni giorno per fare in ufficio quello che avresti già iniziato a fare sulla scrivania, a casa. Nel 2023 molte startup e imprese hanno fatto proprio questo modello, ma le grandi città come Milano non si sono affatto svuotate. Continua il nostro percorso per capire da esperti e imprenditori che mondo del lavoro sarà in futuro, quali opportunità e trend possiamo scorgere all’orizzonte (a questo link trovate la nostra survey). «Proiettiamoci in avanti di 30 anni: se oggi pensiamo che un tasso di disoccupazione sopra il 10% sia alto, ebbene io credo che un domani arriverà al 25/30%». Ascoltando Alessandro Rimassa, autore de Le 5 lenti dell’HR (edito da Egea) business angel e Ceo di Radical HR, le prospettive potrebbero suonare spaventose. Tutto in realtà dipende da quanto ciascuno investirà su stesso per rimanere competitivo.
Alessandro Rimassa sarà speaker al prossimo appuntamento di SIOS23 Summer a Roma, il 27 giugno (qui info su biglietti e programma).
Fissare il tempo della formazione
La formazione professionale in Italia viene spesso vissuta come un obbligo, un’attività alla quale non si può dedicare molto tempo perché di tempo non ce n’è mai. Secondo Rimassa, che nella sua carriera ha lanciato diversi progetti education come a Feltrinelli e a EssilorLuxottica, una soluzione può arrivare dalle aziende più illuminate. «La sfida è dedicare un tempo fisso delle persone all’apprendimento. Usciamo dall’ottica del ritagliarsi tempo per la formazione. Oggi bisogna progettarsi tempo per la formazione. Idealmente non credo sia folle pensare che dedicheremo il 10% delle ore lavorative per formarci».
Non sappiamo che impatto avrà l’intelligenza artificiale sulle mansioni di nmila lavori. Potremmo esserne appena sfiorati oppure investiti. La sfida è darsi una routine, un’abitudine che riempia il nostro quotidiano di contenuti formativi, per imparare, studiare e proporsi con nuove competenze. Secondo Rimassa la ricetta non è il lavoro matto e disperatissimo tra chi fa a gara a entrare prima in call per fatturare (sbandierandolo sui social).
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«Credo sia invece sano costruirsi abitudini che ci migliorano. Non soltanto per guadagnare di più, ma generare nuove idee e crescere». Rimassa è ad esempio un cultore del miracle morning, concetto ripreso dall’omonimo libro di Hal Elrod nel quale si spiega come costruirsi un angolo al mattino per fare ciò che ci piace. «Lo porto avanti da diversi anni, mi dedico a me stesso».
E la famiglia?
Non viviamo però in un paese che può permettersi ancora a lungo di dimenticarsi della collettività. Se i criteri ESG dovessero essere davvero applicati, la sostenibilità andrebbe intesa anche in ottica sociale, creando un ambiente di lavoro sano, senza disparità. Negli ultimi mesi si è tornati a parlare della drammatica condizione demografica dell’Italia – ne abbiamo discusso con Francesco Seghezzi – con un dibattito polarizzato e poco utile. «Siamo lontani dal capire che sostenere la genitorialità, non soltanto la maternità, è fondamentale per la nostra società. E come si dovrebbe fare? Con asili nidi e scuole materne disponibili per tutti sul territorio e con flessibilità degli orari. Credo sia un modo per aver lavoratori e lavoratici più produttivi perché felici».
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In futuro il mondo del lavoro potrebbe accogliere anche l’estensione della cosiddetta settimana corta, già attivata in alcune grandi imprese italiane come in Intesa Sanpaolo. «Lo stipendio rimarrà un elemento importante, ma non più l’unico: le aziende lasceranno ai dipendenti possibilità di intraprendere, di imparare, di fare smart working, di avere supporto psicologico e altri benefit». Ma, ricorda Rimassa, non sarà un tragitto facile. «Piuttosto un cambiamento che passerà attraverso errori e storture».
Lavorare bene, lavorare meno?
Torniamo però alla pronostico scioccante di Rimassa. Davvero dovremmo aspettarci un futuro con tassi di disoccupazione in crescita? «Avremo vite costruite in una maniera completamente diversa – argomenta -. Sarà normale la settimana lavorativa più corta, redditi seri di cittadinanza». E soprattutto un equilibrio diverso tra lavoro e vita privata. «Tutto sta nel creare un nuovo patto. Per alcune aziende magari si lavorerà sei giorni su sette per un semestre, seguito da un semestre in cui si lavora solo un giorno a settimana».
E che dire dell’università? In Italia in tanti del mondo innovazione puntano il dito contro modelli accademici che non funzionerebbero più. «In un mondo del lavoro che evolve velocemente abbiamo bisogno di esser preparati per la professione che faremo per 30 anni? Oppure dovremmo apprendere metodo e cultura per reinventarci sempre? Bisogna ripensare l’università, ma non collegandola per forza al lavoro».
Per concludere un appunto su quella che Rimassa nel suo libro definisce alibi culture, un freno che ciascuno di noi ha attivato almeno una volta sul posto di lavoro. «Di recente ho incontrato un imprenditore che mi ha chiesto di aiutarlo nel suo percorso di crescita. Ha passato la metà del tempo a spiegarmi tutti i suoi problemi. Mi ha messo davanti alibi. Io non investirò sulla sua azienda. Quando lo fai, investi su una persona. Se ci fermiamo a spiegare che c’è un problema, ci condanniamo a impedirci di crescere».