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KnowAndBe.live è il primo programma a livello italiano e internazionale studiato per aziende, enti pubblici, istituzioni e associazioni che hanno a cuore il benessere e la salute dei propri dipendenti. Ce lo racconta la CEO e Founder Luigia Tauro
In Italia, nell’arco della vita, una persona su due si ammala di cancro. 4 tumori su 10 potrebbero essere evitati con uno stile di vita sano. Ma non tutti lo sanno. È questo il problema sociale che affronta KnowAndBe.live – più Conoscenza, meno Paura, programma digitale e transmediale di educazione alla prevenzione oncologica. È il primo programma a livello italiano e internazionale studiato per aziende, enti pubblici, istituzioni e associazioni che hanno a cuore il benessere e la salute dei propri dipendenti. È nato nel 2017 dall’esperienza di Luigia Tauro, manager con una lunga carriera nell’innovazione digitale, cancer survivor, inserita da StartupItalia! tra le 1000 Unstoppable Women che stanno cambiando l’Italia. KnowAndBe.live è un marchio di Prevention For You Srl, startup innovativa specializzata in education, engagement e sensibilizzazione sul tema della prevenzione attraverso le tecnologie digitali.
Intervista a Luigia Tauro CEO e Founder di KnowAndBe.live
Come nasce KnowAndBe.live?
Io sono una cancer survivor. Mi sono ammalata nel 2008 di un tumore al seno. Nel 2013, quando ho compiuto 50 anni, ho capito che avevo bisogno di prendermi del tempo per me, di fare una pausa rispetto a una vita professionale molto intensa prendendomi un anno sabbatico. In quel periodo ho cominciato a lavorare per un’associazione per i diritti delle persone che si ammalano di tumore al seno. Ho parlato con molte donne che avevano avuto il mio stesso tipo di malattia, ma anche altri tipi di cancro e mi sono resa conto che è una malattia che fa ancora molta paura, e questa paura impedisce alle persone di fare cose molto semplici come i controlli di screening, i quali permetterebbero invece di intercettare la malattia precocemente aumentando in maniera significativa le possibilità di sopravvivere.
Di che percentuali stiamo parlando?
L’osservatorio nazionale di screening stima che la causa principale per cui le persone non vanno a fare questi tipi di esame è la paura della diagnosi infausta, dall’altra la mancanza di un consiglio medico. Quindi molte persone non sanno che esistono strumenti per fare prevenzione. Infine intervengono altri fattori come la mancanza di tempo, l’imbarazzo per certe situazioni e così via. Questo impedisce al 40% degli italiani di fare prevenzione. Quindi la prima cosa che mi è venuta in mente è stata di parlare della mia esperienza, che è stata positiva a tutti gli effetti, perché ho seguito tutte le cure: chemioterapia, radioterapia, e ora ho un’ottima qualità di vita. Come me, ci sono altre 3.400.000 persone in Italia che sono vive dopo una diagnosi di cancro. Ho aperto un blog in cui raccontavo della mia esperienza e ho visto che parlarne usando un linguaggio semplice con un rigore scientifico con dati alla mano portava le persone a reagire, commentare, diventare propositive. Su questo si basa KnowAndBe.live, un’innovativa metodologia didattica, che lega la formazione a distanza con l’engagement emozionale, sfrutta le tecnologie digitali e l’approccio multidisciplinare con l’obiettivo di sfatare i falsi miti sul cancro e rendere consapevoli i 17 milioni di lavoratori dipendenti in Italia dell’importanza della prevenzione primaria e secondaria, ribaltando lo stigma verso la malattia in un desiderio di conoscenza.
Come si sviluppa il percorso formativo KnowAndBe.live?
È imperniato su tre assi portanti (coinvolgi, misura, educa) e caratterizzato da un linguaggio semplice e coinvolgente. Il percorso educativo – accessibile in cloud da PC e tablet – dispone di una varietà di iniziative e strumenti combinabili tra loro:
Campagna di health coaching: i dipendenti rispondono in forma anonima a un breve questionario online, punto di partenza per valutare la cancer risk awareness della popolazione aziendale, indirizzare al meglio l’intervento formativo, e misurarne in seguito l’efficacia. La campagna può essere sostenuta da un piano editoriale di articoli di divulgazione scientifica, studiati in base ai destinatari e ai periodi dell’anno.
Coinvolgimento emozionale dei dipendenti, con testimonianze video di chi ha superato la malattia e laboratori di storytelling attraverso i quali il vissuto di survivor o caregiver dei dipendenti diventa un potente alleato nella divulgazione in azienda dei comportamenti di prevenzione.
Eventi partecipativi, che sfruttano il metodo di apprendimento attivo ed esperienziale grazie all’approccio ludico, fisico e tangibile, anche attraverso l’utilizzo dei Diagrammi Partecipati.
E-learning, sistema multimediale che permette alle aziende di raggiungere tutti i dipendenti, a prescindere dal numero e dalla localizzazione geografica, e monitorare al tempo stesso fruizione dei corsi e loro efficacia attraverso un’area riservata e personalizzata. Tutto questo porta maggiore consapevolezza a prendersi cura di sé stessi.
Anche per questo il vostro motto, se possiamo chiamarlo così, è “più conoscenza meno paura”?
Sì assolutamente, quello che cerchiamo di fare con KnowAndBe.live è scardinare i falsi miti che ci sono dietro la malattia. Per esempio quello sulla sopravvivenza: più di 6 persone su 10 oggi saranno ancora vive tra 5 anni. Molti quando ricevono la diagnosi credono che sia una sentenza di morte, ma non è così. Ci sono anche tutta una serie di falsi miti sulla tossicità delle cure: è vero le cure sono pesanti, ma tuttavia sono le uniche che ci garantiscono di poter superare questa malattia. È ovvio che non succede per tutti i tipi di tumore e per tutti coloro che si ammalano, però il nostro obiettivo è cambiare completamente la percezione della malattia, far capire che è un aspetto della vita che si deve poter affrontare, e se si affronta bene può dare tutta una serie di effetti positivi.
C’è disinformazione quindi intorno alla malattia?
C’è molta disinformazione, ma soprattutto c’è questo aspetto psicologico della paura che impedisce alle persone di comprendere. Abbiamo delle testimonianze di persone sopravvissute nei nostri programmi formativi, in uno dei video viene raccontata l’esperienza di un utente che racconta il momento in cui il medico gli ha comunicato la diagnosi: lui lo sentiva parlare, ma non capiva cosa stava dicendo perché era talmente forte l’impatto emotivo da non riuscire a metterci neanche una parte di razionalità. Quindi da un lato c’è molta disinformazione, dall’atro c’è un aspetto emotivo enorme che non permette di agire razionalmente. Quindi noi cerchiamo di concentrarci su questi due aspetti. Lavoriamo sulla disinformazione, con video emozionali e un altro strumento che abbiamo creato noi, i diagrammi partecipati, ovvero un percorso di apprendimento esperienziale proprio sui numeri del cancro e sulle pratiche prevenzione.
Come mai avete scelto le aziende per una comunicazione adeguata verso la malattia?
Prima bisogna dire un’altra cosa che riguarda l’adesione agli screening in Italia. C’è una grande disuguaglianza geografica: se prendiamo come esempio la mammografia, ovvero lo screening per il cancro al seno, in Emilia Romagna l’adesione è al 90%. In Campania, la regione più bassa, siamo intorno al 20%. Quindi c’è una grossissima differenza e più si va a sud più diminuisce la percentuale di donne che si controlla. Lavorare con le aziende, in particolare con quelle più grandi, ci permette di portare questa comunicazione in maniera capillare su tutto il territorio nazionale. Per esempio molte aziende con cui stiamo lavorando hanno filiali e uffici in tutta Italia, quindi noi con questa comunicazione riusciamo a raggiungere un grandissimo numero di persone, a fronte di un investimento per le aziende molto basso. Abbiamo cercato di coniugare la sostenibilità del business con il fatto di avere un impatto a livello geografico molto diffuso e molto capillare.
Come nascono i diagrammi partecipati e che impatto hanno sulle persone che li utilizzano?
Nascono con la voglia di trovare un linguaggio diverso per parlare della malattia e dei numeri. La mia idea iniziale era di fare delle infografiche e quindi ho cominciato a guardarmi in giro per capire chi stava facendo delle cose innovative. Ho trovato un gruppo di ricerca dell’Università di Bolzano che si occupa proprio di quello che viene chiamato Visual Journalism che ha le caratteristiche di raccontare le informazioni, cioè dati tridimensionali. I diagrammi partecipati integrano la visualizzazione dei dati con la materialità e l’interazione fisica con il pubblico. Una metodologia di apprendimento attivo, esperienziale e condiviso, che fa fronte con successo alla necessità di trovare linguaggi nuovi per ampliare in maniera significativa la cultura della prevenzione e raggiungere nuovi obiettivi collettivi di consapevolezza.
Come funzionano?
L’esperienza partecipativa si sviluppa attraverso 2 diagrammi. Nel primo, i partecipanti rispondono – annodando un filo ad una serie di pomelli – a domande dapprima semplici, per agevolarne il coinvolgimento, e poi più complesse, relative all’impatto del cancro sulla società. L’obiettivo è verificare il grado di informazione dei partecipanti e renderli consapevoli del proprio gap informativo, così da suscitare in loro curiosità sulle informazioni corrette e guidarli all’apprendimento. Il secondo indaga – attraverso il posizionamento di pedine colorate su un pannello – il comportamento dei partecipanti sulla prevenzione secondaria, ovvero sui controlli che permettono di diagnosticare il cancro in fase precoce. I Diagrammi Partecipati sono stati scelti come strumento di sensibilizzazione negli eventi su prevenzione e salute dal Joint Research Centre della Commissione Europea.
Dalla fondazione ad oggi avete centrato un successo dopo l’altro, quali sono i progetti per il futuro?
Io parlo dei miei desideri, che poi si tramutano nel motore per creare e progettare. Da un lato l’internazionalizzazione, perché è una tematica sociale che è presente sia in Europa che più in generale nei paesi occidentali. Il primo cliente italiano ha filiali in tutto il mondo e il primo progetto si affaccia al mondo dell’internazionalizzazione. L’altro è poter creare una partnership importante con un attore del mondo assicurativo per creare dei pacchetti di protezione specifiche nel campo oncologico.